L’Evangelii gaudium è il primo documento di Papa Francesco al quale riferirsi per comprendere stile e pensiero che ispirano il suo pontificato. Testo meno sistematico e lineare di quelli a cui ci aveva abituato il suo predecessore, è caratterizzato da una grande ricchezza teologica e una forte carica propulsiva. Mons. Giacomo Canobbio, docente di Teologia dogmatica alla Facoltà teologica di Milano, concentra qui l’attenzione su tre aspetti di grande rilievo, che più d’altri contribuiscono a disegnare il futuro della Chiesa auspicato da Francesco. Il saggio sviluppa efficacemente i temi della collegialità, della Chiesa ‘popolare’ e della scelta dei poveri. Si tratta di questioni cruciali che provocano soprattutto la Chiesa occidentale, impegnata da anni in un confronto teorico con la cultura moderna, e invitata ora a mutare sensibilità: infatti, se 'il necessario confronto con gli intellettuali produce l’impressione che il cristianesimo sia qualcosa che riguarda le élites, l’ascolto del grido dei poveri può creare la sensazione che il Vangelo sia effettivamente per tutti perché per accoglierlo basta tenere conto del bisogno di misericordia che tutti portano in sé. E tale ascolto può mettere in movimento un’autentica riforma della Chiesa producendo un nuovo senso di appartenenza e partecipazione'.
Il bel saggio di Goffredo Boselli, monaco della comunità ecumenica di Bose, intende riprendere e valorizzare il legame profondo e sorgivo che la liturgia intrattiene con l’azione evangelizzatrice, tanto da poterla comprendere quale 'vangelo in atto' e riconoscere nella stessa narrazione evangelica l’esperienza liturgica delle prime comunità. Testo emblematico di questa corrispondenza è la narrazione dell’incontro di Emmaus (Lc 24), le cui tappe mostrano le modalità del venire alla fede del discepolo; per questo, sostiene l’autore, è importante 'tornare a Emmaus come all’origine della liturgia nella consapevolezza che ciò che è avvenuto sul cammino di Emmaus è ciò che ancora oggi avviene nelle nostre liturgie'. Il tema ha immediata rilevanza pastorale, in quanto provoca a ricercare le modalità più adeguate di una liturgia che abbia qualità di annuncio evangelico, non si rivolga solo a chi già crede, ma sappia ospitare le diverse e variegate sensibilità frutto delle profonde trasformazioni sociali, culturali e antropologiche in corso: 'Una liturgia ospitale non è una moda o una strategia pastorale ma è la postura stessa di Cristo che anche Risorto si fa cammino, presenza, prossimità benevola, ascolto, parola, pane spezzato'.
Don Bruno Bignami, sacerdote della Diocesi di Cremona e docente di Teologia morale presso lo Studio Teologico Interdiocesano e l’ISSR di Crema-Cremona-Lodi-Vigevano, completa qui la rievocazione del significato della prima guerra mondiale per il cattolicesimo italiano avviata nel fascicolo di settembre (La prima guerra mondiale e la ‘guerra giusta’. Il fallimento del teorema, pp. 618-635). Dopo aver tratteggiato lo sfondo storico di quegli anni e l’evoluzione del magistero papale, l’autore descrive qui l’impatto che l’evento bellico ebbe sul vissuto umano e spirituale dei molti acerdoti arruolati in qualità di cappellani o preti-soldato. Quell’esperienza rappresentò per tutti la scoperta dei drammi dell’umanità comune, spesso non percepiti a causa dell’ovattata formazione seminaristica. La saldatura degli ideali di Fede e Patria con la spiritualità del sacrificio dimostrava la propria inconsistenza davanti all’enormità dell’inutile strage in atto. La crisi di molti sacerdoti testimoniava così le trasformazioni radicali in seno alla Chiesa circa il modo di percepire la guerra. 'A trasformare l’approccio del ministero sacerdotale nei confronti dell’umanità del proprio tempo è stata la condivisione. Lo stare in mezzo ai coetanei al fronte aveva messo in discussione le certezze di una vita tutelata e regolata, quale era promossa negli ambienti educativi ecclesiastici'. Chi tornò dalla guerra poté guardare alla vita di fede con occhi nuovi, trasformati dagli eventi vissuti e subiti. Molti preti intuirono che il vangelo non era giunto in trincea con il loro arrivo, ma era già là, nel dramma che si stava consumando nelle coscienze di giovani costretti a fare i conti ogni giorno con la vita e la morte.
Il contributo che qui presentiamo riflette sulla figura del prete richiesta dall’istanza di una 'Chiesa in uscita', missionaria, che ha quale priorità l’annuncio ai lontani. Questa linea programmatica, ribadita spesso dal magistero di papa Francesco, interroga inevitabilmente la parrocchia e i suoi pastori. La riflessione di don Roberto Repole, docente di Ecclesiologia presso la Facoltà teologica di Torino e presidente dell’Associazione Teologica Italiana, accetta la sfi da di pensare nel concreto dell’azione ministeriale questo radicale cambio di prospettiva. Per il presbitero infatti diviene vitale chiedersi come sostenere una comunità che si pensi e si viva strutturalmente estroversa, all’interno di un mondo scristianizzato, 'dove l’unica possibilità che è data per l’evangelizzazione è che il vangelo venga trasmesso da persona a persona e sia accolto nella libera adesione della coscienza'. Ciò comporta una conversione nel percepire il ruolo dei preti, poiché la comunità cristiana esiste e vive anche là dove essi non possono fisicamente esserci, là dove, primariamente, si gioca la sfida dell’annuncio evangelico.
Le giovanni donne sempre più lontane, i giovani in solitaria ricerca, il dovere degli adulti di mettersi in ascolto: Paola Bignardi racconta il libro-inchiesta "Dio, dove sei?".