Le indicazioni con le quali papa Francesco propone di vivere il Giubileo straordinario, invitano esplicitamente a riscoprire il significato autentico della «antica e veneranda» tradizione delle ‘opere di misericordia’. La riflessione di Luciano Manicardi, monaco di Bose, svolge questa ricerca anzitutto sullo sfondo dell’indole ‘esperienziale’ del magistero di Francesco. La pratica delle opere di misericordia però chiede oggi ai cristiani un’intelligente e creativa opera che le declini nel nostro tempo. Per questo lo studio ne ricostruisce pazientemente il senso ripercorrendo, in ascolto della Bibbia e dei più autorevoli testi patristici e medievali, il sorgere e il consolidarsi dei settenari. L’intera tradizione delle opere di misericordia appare così convergere nell’invito alla pratica quotidiana di azioni concrete, in cui ciascuno può riconoscersi: «N on è difficile cogliere che questa tradizione cerca di radicare il vangelo nella quotidianità, di farlo divenire esperienza quotidiana grazie all’incontro con il volto di un’altra persona nel bisogno. Da quell’esperienza può nascere una testimonianza e una narrazione, ovvero l’evangelizzazione».
Pubblichiamo qui un interessante studio che mette a fuoco il cammino delle Chiese del Meridione d’Italia nel prendere coscienza e quindi nel resistere al pervasivo fenomeno mafioso. Don Massimo Naro, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Sicilia (Palermo), sceglie quale punto di osservazione di quel cammino il magistero degli ultimi tre pontefici, significativamente rivolto alle tre regioni maggiormente colpite dalla criminalità organizzata. L’analisi mostra come esso sia in sintonia con l’insegnamento dei vescovi di quei territori, in una relazione di ripresa e potenziamento di un magistero locale che trae la sua forza e credibilità dall’essere nato nel contesto ove il problema mafioso è patito quotidianamente. Negli ultimi sessanta anni è così nata e poi cresciuta una peculiare forma cristiana di resistenza alle mafie: «Essa è lotta, certamente, contro la disumanità delle mafie. Ma, nella misura in cui impegna a vivere la conversione e non soltanto a predicarla, è anche consegna di sé, disponibilità a offrirsi, ad arrendersi a Dio». L’appello alla conversione rivolto ai mafiosi non può infatti risultare credibile se non è testimonianza di conversione personale e comunitaria.
Pubblichiamo la lectio magistralis che il card. Angelo Scola, arcivescovo di Milano, ha tenuto lo scorso maggio a Vicenza in occasione dell’undicesimo Festival biblico dal titolo Custodire il creato, coltivare l’umano. Il tema viene svolto interrogando l’esperienza di Giobbe, nella quale è possibile riconoscere l’atteggiamento superbo dell’uomo che dimentica quale sia il proprio posto nel creato, tratto che molto la avvicina all’uomo contemporaneo e alla sua indole predatoria verso il mondo naturale. Tuttavia le parole che Dio rivolge a Giobbe non a caso parlano delle meraviglie del creato e producono in lui una decisiva esperienza di conversione: «rendersi conto del creato, delle cose, ci porta sulla soglia del Tu, che ha fatto tutto. La nostra ragione […] non solo è colpita perché le cose ci sono, ma l’esserci delle cose provoca in noi un senso di meraviglia e stupore che è alla base del destarsi dell’io». Non si dà quindi «ecologia della natura se non a partire dall’ecologia umana. È questa la correzione di cui Giobbe, di fronte allo spettacolo della creazione, ha fatto esperienza». Il lettore troverà qui alcune prospettive dell’enciclica Laudato si’, pubblicata qualche settimana dopo.
Proponiamo qui un’analisi sociologica dei principali cambiamenti che hanno segnato le trasformazioni della Chiesa italiana negli ultimi decenni. Il saggio di Luca Diotallevi, docente di Sociologia all’Università di Roma TRE, non si limita a fotografare la vicenda analizzata ma ne offre una rilettura che, al di là degli esiti – «il cattolicesimo italiano si presenta più piccolo e più religioso, meno influente in ambiti extra-religiosi e più esposto al fascino del nuovo boom del religioso » – segnala come la Chiesa del nostro Paese abbia perseguito delle «de-formazioni» verso un progetto «neocler icale», i cui risultati attendono ancora una valutazione critica, che non è stato il frutto di una scelta obbligata, anzi si è affermato in alternativa a opzioni altrettanto realistiche.
Pubblichiamo qui una meditazione di taglio biblico-antropologico che mette a fuoco l’originaria relazione fra l’essere umano e la ‘madre terra’. Questo rapporto merita di essere ripreso anche nel contesto della nostra civiltà ‘evoluta’, urbanizzata e sommersa dalla tecnologia. Don Cesare Pagazzi, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, intreccia fenomenologia del lavoro campestre – segnata dal chinarsi – e narrazione biblica, rinvenendo nella stessa conoscenza che Gesù aveva delle pratiche agricole un’attenzione alla «Legge della terra, senza la quale perfino l’onore accordato alla Legge di Mosè e alla Legge del Vangelo rischia d’esser praticato con la schiena troppo rigida e un portamento troppo impettito, incapace di piegarsi verso l’origine, il bisogno, la fine e la reale speranza dentro la fine […] chinarsi verso la terra è la Legge data fin dall’inizio, e un aspetto rilevante della vicenda del Figlio di Dio nella carne fino alla sua vita risorta e definitiva».
Il 13 giugno a Roma si parla di "Sud. Il capitale che serve" di Borgomeo con Quagliarello, Francesco Profumo, Graziano Delrio, Nicola Rossi e Raffaele Fitto.