In questi mesi la Chiesa universale sta vivendo un’inedita atmosfera ‘intersinodale’, chiamata com’è da papa Francesco a preparare il Sinodo ordinario sulla scorta delle riflessioni emerse dall’intenso lavoro dell’assemblea sinodale dello scorso ottobre. Si tratta di un modo innovativo di affrontare il discernimento ecclesiale che, anche in questa seconda fase preparatoria, si avvale di un Questionario che intende aiutare e arricchire i lavori in aula dei Padri. E proprio la ‘domanda previa’ che lo apre chiede alle Chiese locali di farsi parte attiva dei lavori: «La descrizione della realtà della famiglia presente nella Relatio Synodi corrisponde a quanto si rileva nella Chiesa e nella società di oggi? Quali aspetti mancanti si possono integrare?». Don Edoardo Algeri, Direttore dell’ufficio di Pastorale della famiglia della diocesi di Bergamo e Presidente della Federazione Lombarda dei centri di assistenza alla famiglia, dà conto in maniera puntuale del cammino sinodale percorso finora, un vero e proprio itinerario di discernimento ecclesiale per comprendere che cosa lo Spirito chiede in questo tempo così esigente. L’articolo inaugura una serie di contributi con cui la Rivista accompagnerà nei prossimi mesi il cammino verso il Sinodo di ottobre.
Durante l’Assemblea Generale della CEI tenutasi ad Assisi nello scorso novembre è stato presentato un ampio e articolato ‘strumento di lavoro’ sulla vita e la formazione permanente dei presbiteri. Mons. Gianni Ambrosio, vescovo di Piacenza-Bobbio e membro della Direzione della Rivista, ne riprende le indicazioni principali offrendo alcune riflessioni alla luce del contesto odierno, nel quale le relazioni interpersonali si vanno facendo sempre più difficili e precarie. L’articolo si sofferma sull’accoglienza, il dono e la comunione, valori e atteggiamenti fondamentali da non dare per scontati, ma sui quali insistere con opportuni percorsi formativi: «La formazione è vera e autentica se rende visibile ai nostri occhi e agli occhi dei fratelli l’amore-comunione che è in noi, la presenza stessa di Dio dentro di noi e in mezzo a noi […] la sua presenza trasforma la nostra esistenza e la rende disponibile al dono, alla gratuità, alla comunione».
Il prossimo novembre si terrà a Firenze il V Convegno ecclesiale nazionale dal titolo In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. L’assise intende affrontare la transizione culturale e sociale che caratterizza il nostro tempo e che incide sempre più nella mentalità e nel costume di credenti e non credenti. Il tema scelto rimanda apertamente allo sforzo di aggiornamento compiuto dal Vaticano II, riferimento autorevole che non può che essere oggetto di indagine. Don Francesco Scanziani, docente di Antropologia teologica presso la Facoltà teologica di Milano, presenta un interessante studio sull’approccio sviluppato da Gaudium et spes nei confronti degli umanesimi contemporanei. Il saggio sottolinea il carattere innovativo dello stile aperto e dialogico del Concilio, teso alla comprensione delle nuove istanze, capace di operarne un discernimento alla luce del messaggio cristiano. La Gaudium et spes si propone ancora quale autorevole riferimento: «Il Vaticano II, per i suoi obiettivi, presenta importanti indicazioni di contenuto, ma ancor più decisive scelte di metodo; o, se preferiamo, una vera e propria “lezione di stile”».
Le parabole costituivano agli occhi di Gesù uno strumento efficace per annunciare il mistero del Regno di Dio. La loro originalità, specie se all’interno di una complessa narrazione come quella del tredicesimo capitolo di Matteo, non è di immediata lettura. Guida in questo compito di comprensione lo studio di don Matteo Crimella, docente di esegesi del Nuovo Testamento presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, che offre una precisa sintesi dei principali approcci esegetici all’intero capitolo per poi concentrarsi su una lettura narrativa della ‘parabola della zizzania’. Il saggio si rivela prezioso strumento per fondare corrette meditazioni sul testo ed evitare ingenuità interpretative. La ricchezza dell’approccio narrativo permette infatti non solo di indagare la cosiddetta ‘udienza autoriale’, cioè l’ascolto presupposto a suo tempo dal narratore evangelico, ma anche l’‘udienza narrativa’, cioè quell’ascolto che il racconto in parabole intende suscitare presso gli interlocutori di ogni epoca, conducendo il lettore a credere in Gesù, a essere parte della comunità della Chiesa.
Capita che la letteratura sappia illuminare le vicende della nostra esistenza con sapienza, leggerezza e talvolta maggior efficacia di dotte lezioni teologiche o sermoni consolatori. È quanto riesce a Marilynne Robinson nel suo Gilead, vincitore nel 2005 del premio Pulitzer. Il romanzo, che ha la forma del memoriale scritto da un anziano pastore protestante per il giovanissimo figlio, ha come tema la vita stessa, i dilemmi e le domande più profonde sulla fede, sulla vecchiaia, sui figli: «Il libro è dunque una specie di testamento, di impegnativa “memoria” che il protagonista lascia al figlioletto come viatico quando anch’egli dovrà affrontare la “grande traversata”», scrive Don Alberto Carrara, parroco, ora Delegato vescovile per la cultura e gli strumenti di comunicazione sociale nella diocesi di Bergamo, offrendo un’illuminante recensione del testo. Il romanzo, intessuto di continui riferimenti biblici, offre una visione luminosa della fede cristiana, capace di restituire alla sua trascendente bellezza il mistero delle nostre vite.