La questione del celibato dei preti, talvolta riproposta come rimedio al persistente calo delle vocazioni sacerdotali, è oggetto di approfondita riflessione in questo studio di mons. Giacomo Canobbio, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica di Milano. Premesso che la questione non attiene ai contenuti fondamentali della fede, il chiarimento non può che procedere nel rispetto del duplice e intrinseco riferimento alla ‘fedeltà alle origini’ e ai ‘segni dei tempi’. Questi ultimi sembrano sollecitare oggi la domanda se l’apertura a un ministero ordinato che non preveda il celibato sia più funzionale in ordine alla missione di evangelizzazione della Chiesa. Una risposta fondata, sostiene mons. Canobbio, non può limitarsi ad attribuire valore normativo né alla tradizione né alle urgenze della evangelizzazione; decisivo risulta il riferimento scritturistico: «Osservando con sguardo disincantato la storia si può dire che la decisione di legare ministero ordinato e celibato non è altro che attualizzazione di un dato di fatto presente nel Nuovo Testamento, benché questa decisione abbia tardato a essere presa in senso definitivo e anche una volta presa sia stata per alcuni secoli disattesa […] Nella scelta tra le due prospettive si deve ancora una volta richiamare la ragione fondamentale che ha portato alla decisione di ordinare soltanto uomini celibi: la dedizione totale alla causa del Regno nella imitazione di Cristo».
Nell’Esortazione postsinodale Verbum Domini (2010), che raccoglie le indicazioni del Sinodo dedicato a La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa (2008), compare per la prima volta nel magistero pontificio il sintagma «sacramentalità della Parola». Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose, che ha partecipato attivamente ai lavori dell’Assemblea, approfondisce in questo documentato studio la centralità di tale affermazione teologica. Essa infatti, assente nella stessa Dei Verbum, non solo rappresenta un’autentica e audace novità nei testi del magistero cattolico, ma ha avuto il merito di avviare una ricerca teologica feconda che promette di dare frutti sia nella vita della Chiesa cattolica sia a livello ecumenico, soprattutto nel dialogo con le Chiese della Riforma. Lo studio registra questa novità e propone alcuni itinerari teologici di approfondimento del tema, documentando la ripresa postconciliare della centralità della Scritture. La conclusione evidenzia l’inedita possibilità di comprendere appieno «che nella fede cristiana non si dà possibilità di Parola di Dio, uscita da Dio, che non si manifesti efficacemente se non in uno spazio sacramentale. Se nella polemica controriformistica si era giunti a opporre la Parola e i sacramenti (il settenario), oggi siamo invece in grado di confessare insieme la fede nella Parola di Dio contenuta nelle Scritture, che risuscita sempre nella potenza dello Spirito santo, nell’assemblea-ekklesía, in uno spazio che, attraverso diverse mediazioni, è sempre sacramentale».
L’articolo di mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, intende riportare l’attenzione sulle opere di misericordia spirituale, forse meno considerate delle più concrete e visibili opere di misericordia corporale. Tuttavia le prime non sono meno importanti, anzi per certi aspetti consentono di aprire «la vita all’incontro più intimo e fecondo con la misericordia di Dio e sono in genere alla base di un profondo rinnovamento interiore». Qui l’attenzione viene posta sul consigliare i dubbiosi, un’opera molto significativa se si considera l’attuale panorama culturale caratterizzato dall’esaltazione del dubbio e dall’assolutizzazione della ragione. Si tratta di un’arte non semplice da praticare ma preziosa, legata com’è al discernimento sulla natura del dubbio (spesso espressione della ricerca della fede), al rispetto dei tempi e dei modi della libertà umana nel suo rapporto con l’azione dello Spirito Santo.
Pubblichiamo l’intervento pronunciato lo scorso maggio da don Angelo Maffeis – docente di Storia della teologia alla Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale – nel corso del Seminario interdisciplinare di teologia, filosofia e scienze dell’uomo dal titolo La Misericordia e le sue opere tenutosi presso la sede milanese dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di una riflessione teologicamente densa, volta a presentare la complessità della misericordia evangelica che, lungi dall’essere un’assoluzione unilaterale, mira invece a educare il credente «alla responsabilità per le proprie azioni e, insieme, tenere viva la fiducia che Dio è capace di rinnovare gli esseri umani e di dare loro un futuro anche là dove hanno sperimentato il fallimento e la colpa». Il tema della misericordia rimanda dunque a un aspetto essenziale della fede e cioè al modo di articolare la personale esperienza credente con i riferimenti oggettivi alla professione della fede, alla norma morale e alla forma della comunione ecclesiale. Esso invita quindi a riattivare «il nesso vitale tra gli elementi oggettivi e istituzionali della comunità cristiana e la personale storia di fede dei singoli credenti, così che i primi possano essere percepiti come delimitazione e offerta di uno spazio nel quale è possibile ricevere il perdono, sperimentare relazioni umane riconciliate e vivere una vita secondo lo Spirito». In questa azione di integrazione – sostiene don Maffeis – è vitale che la Chiesa ancori la sua predicazione a una visione biblica della persona e inviti con forza a percorrere le vie del quarto sacramento e delle opere di misericordia.
Don Giovanni Cesare Pagazzi, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, presenta qui una suggestiva riflessione che, unendo annotazioni fenomenologiche e puntuali richiami all’antropologia biblica, riprende la desueta tematica dello sforzo, attitudine umana ormai dimenticata in un’epoca in cui la tecnologia promette la semplificazione di ogni compito. Eppure – nota don Pagazzi – il primo potere dato da Dio ad Adamo è quello del movimento a cui è inscindibilmente connessa l’esperienza dello sforzo che, pur legata alla condizione di limite dell’essere umano, permette, tramite la ripetizione e l’abitudine, l’evoluzione delle sempre incerte abilità umane verso movimenti pieni di grazia. Gesù stesso nei vangeli è animato da una preoccupazione ‘riabilitativa’, non fa che restituire agli uomini il potere perduto di muoversi: a ciechi, zoppi, paralitici, muti, bloccati dal peccato, a corpi irrigiditi dalla morte. Anche quando egli impone un dovere, è sempre in vista della riabilitazione a un potere: questa congiunzione prefigura anche uno stile testimoniale: «Se il Nuovo Testamento è così insistente nell’individuare la fede come un processo di riabilitazione alla grazia di Gesù, non si capisce come le esperienze tipiche della riabilitazione siano di fatto emarginate dalla pratica e dal vocabolario pastorale odierni». Anche in questo ambito è impossibile compiere un’azione ‘senza sforzo’, prescindendo dall’impegno di esercitarsi in essa.
Sabato 16 dicembre presentazione di "Le fiabe non raccontano favole" di Silvano Petrosino a Verona: diventare donna attraverso Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola.
Mercoledì 6 dicembre a Pesaro presentazione di "Dalla metafisica all'ermeneutica" a cura di Piergiorgio Grassi, volume dedicato al filosofo della religione Italo Mancini.