Nel corso del 2016 la Rivista ha ospitato diversi contributi di presentazione della esortazione postsinodale Amoris laetitia. Nella linea degli approfondimenti teologici che la novità del documento obiettivamente sollecita, don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, riprende i paragrafi del cap. VIII che disegnano il rapporto fra coscienza, norma e discernimento, mostrando come l’esortazione presenti un indirizzo che chiede ai pastori e alla teologia – segnatamente la teologia morale fondamentale – di rimodulare una teoria della coscienza. La seconda parte dello studio è così dedicata alla proposta di una rifl essione sull’agire che eviti in radice l’opposizione fra coscienza e norma, fra un’impostazione ‘soggettivista’ e una ‘oggettiva’, e situi la valutazione morale nella sintesi dell’atto personale: «L’atto non va senza la norma, ma la sua valutazione etica non può essere semplicemente riferita alla conformità alla norma, bensì deve considerarne il nesso al soggetto morale». Da questa impostazione discende l’impossibilità di valutare la bontà di un atto all’infuori della storia complessiva del soggetto credente. Queste considerazioni valgono anche per alcune situazioni che riguardano i divorziati risposati.
La forma attuale della celebrazione della prima comunione non è esente da aspetti problematici, ereditati dalla riforma proposta da Pio X agli esordi del secolo scorso. La riflessione di don Manuel Belli, docente di Teologia dei Sacramenti presso la Scuola di teologia del Seminario di Bergamo, si interroga sull’attitudine di quell’impostazione a interpretare la nuova consapevolezza liturgica e sacramentale introdotta dal Concilio Vaticano II. Essa richiede che la prima comunione sia celebrata nel quadro di una partecipazione attiva del bambino al rito, e avvenga nel corso di un itinerario iniziatico che suppone la cresima. L’autore sostiene che i difetti dell’impostazione attuale non siano risolvibili sul piano della catechesi e nemmeno con una semplice modifica nell’ordine di amministrazione dei sacramenti: occorre piuttosto una più nitida presa di coscienza della natura rituale dei sacramenti e del conseguente modo di celebrarli.
Lungo la sua storia il Cristianesimo ha conosciuto grandi sintesi teologiche ma pure il contrappunto di una comprensione segnata da fi gure aperte, paradossali. Il saggio di Luciano Manicardi, priore della comunità monastica di Bose, richiama le principali figure di questo fil rouge originario ed essenziale alla comprensione della rivelazione cristiana, ferma nel testimoniare che «il salvatore del mondo è il perduto appeso al legno». Le appassionate parole della meditazione, illustrate da suggestive immagini, accompagnano il lettore in un itinerario che da teologico diviene spirituale, richiamando l’autentico senso cristologico di ‘alto’ e ‘basso’, secondo il paradosso della scena originaria della Rivelazione per la quale la via cristiana non può che confi gurarsi come «una salita verso l’umiltà».
L’articolo di Lucetta Scaraffia, storica ed editorialista dell’«Osservatore Romano», mette a punto criticamente la categoria di ‘genio femminile’ presente nella lettera apostolica Mulieris dignitatem, il primo documento del magistero a occuparsi del ruolo della donna. La cifra caratteristica del femminile, nota l’autrice, non può essere identificata con la dedizione di sé, che di per sé dovrebbe connotare ogni cristiano, a prescindere dal genere. Il rischio è quello di sancire, contro ogni intenzione, il ruolo ancillare che la donna ha avuto per secoli nella Chiesa e nella società. Piuttosto, afferma Lucetta Scaraffi a nella suggestiva parte finale dell’articolo, il genio femminile va collegato alla maternità, come apertura e disponibilità all’altro e alla trascendenza.
La categoria tradizionale del discernimento, nella sua valenza personale e comunitaria, sempre di più sta entrando nel lessico comune della Chiesa, grazie al magistero di papa Francesco. Esso appare anche nel titolo del prossimo sinodo dei vescovi dedicato ai giovani, nella prospettiva della loro vocazione. Su questo sfondo appare prezioso il contributo di p. Loris Piorar (gesuita, della comunità di Villapizzone a Milano), che descrive analiticamente il discernimento secondo l’accezione ignaziana, nelle sue tappe di sviluppo e nell’ottica della sua finalità. Si è così introdotti a chiarificarne i contorni, le scansioni e il significato all’interno dell’esperienza spirituale del credente, sfuggendo così a quel rischio di equivocità a cui spesso le parole-chiave sono esposte.
Pubblichiamo il testo di una relazione tenuta da don Angelo Casati, presbitero della diocesi di Milano, poeta e scrittore, al Centro culturale di Milano nel quadro del ciclo di incontri Che cosa è la cultura, promosso dall’editrice Il Saggiatore. L’intervento, dal tono sommesso, propone parole che evocano immagini suggestive, rifuggono le definizioni e aprono fessure che schiudono punti di vista sull’inesauribile mistero di Dio. Non si tratta tuttavia di una proposta ‘minimalista’ che indulge a una figura rarefatta della religione. Piuttosto si intuisce nelle parole di don Angelo la consapevolezza che nell’attuale contesto postcristiano parlare di Dio è possibile associando una ‘ripulitura dell’affresco’ originale della fede cristiana attraverso il racconto che l’umanità di Gesù ci fa di Dio.
Si può parlare di giustizia attraverso l’arte? Il 26 marzo Giovanna Brambilla presenta a Bergamo "Diritto e rovescio. Venti storie di arte e giustizia".