Oggi facciamo fatica a immaginare il futuro della missione ecclesiale: l’assottigliamento del numero dei fedeli e la perdita di attrattività del cristianesimo parrocchiale inquietano ma non generano ancora con sufficiente forza creativa processi in grado di andare oltre la gestione tradizionale dell’evangelizzazione. Lo studio del prof. Arnaud Join-Lambert, docente di Teologia pastorale e Teologia presso l’Università Cattolica di Lovanio, recensisce qui alcune sperimentazioni che diverse Chiese europee hanno avviato nell’intento di rinnovare l’azione missionaria secondo quell’audacia e la creatività pastorali auspicate in Evangelii gaudium e continuamente riproposte da papa Francesco. La fisionomia e il coordinamento di questi «nuovi luoghi ecclesiali» col tessuto parrocchiale non sono esenti da problemi e suscitano forti resistenze. Rappresentano tuttavia interessanti tentativi di creare spazi di missione in un contesto sociale fortemente dinamico e refrattario ai ritmi della ‘civiltà parrocchiale’. E ssi – sostiene l’autore – «partecipano senza dubbio di una missione costitutiva della Chiesa, nel modo in cui Cristo stesso ha vissuto, sempre in cammino».
Questi tempi segnati da molte crisi, non ultima quella migratoria, sembra abbiano opacizzato evidenze etiche che forse prematuramente sono state considerate parte irrinunciabile del ‘civile’ occidente. Don Bruno Maggioni, noto biblista e Direttore della Rivista, ripercorre con limpida semplicità i modi in cui la Bibbia, che certo è matrice essenziale della cultura europea, ha elaborato il delicato tema del rapporto con lo straniero. Le numerose raccomandazioni bibliche a tutela degli stranieri vengono contestualizzate nel complesso e faticoso cammino di maturazione che Israele compie nel fondare i diritti di tutti nel semplice appartenere all’umanità creata da Dio: è «l’essere uomo che fonda i diritti, non la cittadinanza, o altra appartenenza. […] il forestiero da accogliere è nel contempo il prossimo da trattare come se stessi e il Signore da servire con tutto il cuore: “Ero forestiero e mi avete accolto”».
Alcuni importanti passaggi dell’esortazione apostolica Amoris laetitia ripropongono il tema della responsabilità morale e invitano la teologia a un approfondimento di carattere fondamentale, considerata la centralità di quella categoria nella vita di ogni credente. Don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e membro ordinario della Pontificia Accademia per la Vita, analizza il tema introducendolo brevemente in rapporto al pensiero di M. Weber e H. Jonas per poi disegnare un nitido quadro teorico dei rapporti fra coscienza e responsabilità. Dalla convinzione della nativa struttura credente della coscienza umana discende la possibilità di intendere i tratti ‘responsoriali’ e storici della coscienza morale, che nella sua azione non può che determinarsi in processi di discernimento, cioè nella scelta dell’agire buono che è concretamente possibile. «La struttura della coscienza cristiana è ben altra cosa dall’idealismo: la grazia dell’evento di Gesù è sempre mediata nella Chiesa. Questo appello, o vocazione, si dà sempre nella storia e ci chiama a cercare il bene praticamente possibile».
«Vivere oggi l’iniziazione cristiana significa camminare su un triplice fronte di iniziazione alla vita, alla ritualità e alla parola. Trascurare uno di questi aspetti rende pericoloso il processo»: è la tesi qui sostenuta da don Manuel Belli, insegnante di Teologia dei Sacramenti presso la Scuola di teologia del Seminario di Bergamo. L’articolo mette a tema il nucleo antropologico del divenire cristiani in quest’epoca segnata da radicali novità. Nuove sono infatti le modalità di percezione del cristianesimo e nuova è la relazione con la realtà, risignifi cata dalla mediazione del digitale. Alla luce di queste mutazioni non è possibile divenire credenti se non a partire da un ritorno alle esperienze fondamentali della vita, senza le quali non si dà comprensione della Parola e celebrazione liturgica.
Don Armando Matteo, membro della redazione e docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana, torna sul Documento finale del recente Sinodo per approfondire una delle problematiche segnalate dai Padri, quella del dialogo intergenerazionale: movimento educativo imprescindibile secondo l’autore, dalla cui riuscita molto dipende la ‘vita buona’ delle nuove generazioni. L’icastica tesi proposta – «quando i vecchi e gli adulti fanno i vecchi e gli adulti, i giovani possono fare i giovani. E quando i giovani possono fare i giovani, è il bene di tutta la società a fiorire» – interpella anche l’agire pastorale. Dovremmo infatti occuparci maggiormente delle generazioni adulte risvegliandole dal torpore narcisista e invitandole all’amore verso i giovani, un amore che trova la sua elementare legge nel rispettarli profondamente, facendo gli adulti, quando si è adulti, e i vecchi, quando si è vecchi.
1° dicembre presentazione in anteprima del primo volume della collana "Credito Cooperativo. Innovazione, identità, tradizione" a cura di Elena Beccalli.