Al di là delle proclamazioni di principio, sembra sempre più evidente come nei seminari la formazione culturale venga trattata con minor considerazione rispetto a quella spirituale e pastorale. Mons. Giacomo Canobbio, noto teologo e docente di Teologia dogmatica presso la Facoltà teologica di Milano, propone una articolata difesa della necessità di seri studi teologici per una adeguata formazione dei presbiteri e in vista di un ministero che, come suo specifico, comporta per tutti l’annuncio della parola e più in generale l’educazione alla fede e la sua mediazione culturale. La proposta dell’autore non mira a far diventare teologi tutti gli studenti di teologia del seminario. Mostra piuttosto con grande puntiglio fenomenologico che senza uno studio adeguato della teologia non si è in grado di svolgere il ministero di pastore con la necessaria competenza: «Studio della teologia come panacea di tutti i problemi di preparazione al ministero ordinato? Piuttosto come aiuto a un esercizio serio del ministero che voglia essere servizio alla fede sia come fides qua che come fides quae».
A fronte di una crescente concezione autoreferenziale della coscienza individuale, Duilio Albarello, presbitero della diocesi di Mondovì, docente di Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale e Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose a Fossano, ripropone i temi essenziali dell’autorevole e profonda meditazione sul tema della coscienza elaborata da John Henry Newman nel secolo scorso. Nonostante l’inevitabile parzialità di un approccio che, per comprensibili ragioni storiche, in qualche momento può apparire persino ingenuo, l’autore riconosce a quel pensiero il merito di ricordare l’attualità di «una grande sfida, che ha sempre accompagnato la Chiesa, ma che tanto più oggi è diventata una priorità: ossia la sfida di formare le coscienze, di avviare percorsi che siano in grado di generare e far crescere una fede davvero adulta, cioè davvero consapevole e responsabile».
In linea di continuità con l’intervento di don Giuliano Zanchi, Direttore della Rivista, sul numero dello scorso febbraio, Roberto Diodato, docente di Estetica e filosofia dell’esperienza estetica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, affronta alcune questioni teoriche emerse in quelle prassi che, nel tempo della pandemia, hanno visto le nostre liturgie intrecciarsi con il mezzo della loro rappresentazione tecnologica. Quel vissuto, che ha lasciato in eredità molte delle sue pratiche, porta con sé molti interrogativi. Essi convergono in particolare sullo statuto e sulla funzione della mediazione tecnica e visiva. È possibile vivere ‘in immagine’ quell’evento in cui «il tempo cronologico e lo spazio divisibile diventano parte dell’eterno e dell’indivisibile»? Per rispondere a questa domanda, e a molte altre che essa suppone, occorre mettere a tema la questione della percezione della realtà che le nuove tecnologie hanno trasformato in profondità. Roberto Diodato prova nel suo contributo a fare da guida esperta in questo mondo nuovo per tutti. Si tratta di comprendere i media e la loro logica, entrando nella persuasione che essi non sono soltanto strumenti neutri, ma un «nuovo modo di essere vivi». Un percorso non semplice ma necessario per mettere a punto una nozione di ‘immagine’ «quale potenza ontologica espressiva», capace di essere «simbolo di un accadere possibile dell’Altro in mezzo a noi», fruibile quindi dalla liturgia.
Don Federico Badiali, docente di Teologia sistematica presso la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna, prende in esame due iniziative importanti prese da papa Francesco nel corso di quest’ultimo anno. Si tratta della promulgazione dell’enciclica Fratelli tutti e dell’indizione del Sinodo universale. L’autore mostra come, al di là della loro evidente eterogeneità, i due eventi siano legati da una prospettiva unitaria. In un certo senso infatti, l’idea centrale del cammino sinodale può essere compresa proprio come quel sogno di fraternità contenuto nella Fratelli tutti: «Potremmo dire che la sinodalità costituisce il presupposto della fratellanza universale, mentre la fratellanza universale rappresenta il compimento ultimo di ogni cammino sinodale». Alla luce di questa lettura l’autore suggerisce alle Chiese locali di collocare il sogno di fraternità contenuto nella Fratelli tutti al centro del proprio discernimento sinodale, confrontandosi con otto sfide proposte dall’enciclica.
Don Franco Manzi, biblista e docente presso la Facoltà teologica di Milano, propone qui una densa lettura teologico-spirituale di Gv 13,1-15 esplorandone la densità cristologica e teologica – «che cosa ci rivela la lavanda dei piedi del mistero di Cristo e del Padre suo?» – e le sue implicazioni sul piano ecclesiologico – «come dev’essere la Chiesa, per essere ciò che deve?». La ricchezza del testo giovanneo rivela l’inedita figura del ‘Dio in ginocchio’ e offre un solido fondamento a ciò che rende specifico il servizio in senso cristiano: «Dal carattere umile e feriale della lavanda dei piedi – che non ha nulla di miracoloso – si evince che, in ogni “ora” della giornata e in ogni ambito della vita, i discepoli possono fare gesti di servizio reciproco».
Le giovanni donne sempre più lontane, i giovani in solitaria ricerca, il dovere degli adulti di mettersi in ascolto: Paola Bignardi racconta il libro-inchiesta "Dio, dove sei?".