Con questo originale saggio Mons. Giuseppe Angelini, noto teologo morale, prosegue la riflessione sul tema della virtù iniziata sui fascicoli nn. 4 e 5 dell’anno in corso. In quella sede veniva rilevato come la predicazione cristiana neotestamentaria, a proposito delle forme della vita buona, avesse agito creativamente rispetto alla tradizione ellenistica. Nel presente contributo Angelini prova a rinnovare quella capacità creativa in vista di un ritorno alla virtù che da molte parti viene auspicato. In particolare, riferendosi alle ‘nuove virtù’ segnalate da Romano Guardini, pone la sua attenzione sull’«accettazione di sé», Questa ‘nuova virtù, intesa come compito e valorizzata quale ‘modello’ di ogni altra virtù, si propone come risorsa nel fronteggiare il compito della costruzione dell’identità personale, rispetto al quale la cultura odierna offre solo incerti riferimenti ispirati a paradigmi adolescenziali: «Da sempre la virtù, intesa nella prospettiva della fede cristiana, fa riferimento all’identità singolare d’ogni nato di donna; ma tale nesso della virtù con l’identità singolare del soggetto non era riconosciuta dal pensiero tradizionale sulla virtù. […] L’idea di virtù ha da essere pensata nell’ottica della vocazione, dunque del nome singolare con il quale ciascuno è chiamato dal Creatore».
In questi mesi segnati da un graduale ritorno alla normalità delle celebrazioni liturgiche, risulta particolarmente interessante lo sguardo retrospettivo al quale invita la riflessione di François Cassingena-Trévedy, monaco benedettino dell’abbazia Saint-Martin di Ligugé, docente di Liturgia all’Institut catholique di Parigi. L’autore rievoca gli approcci alla questione della messa generatisi in risposta alla situazione di confinamento sociale che ha portato alla chiusura delle chiese. Il saggio, scritto nel maggio 2020, nota come la sospensione del culto abbia evidenziato un ritorno alla tentazione ‘religiosa’, segnato da un approccio reificante e ‘consumistico’ alla messa che propone interrogativi non secondari: «tutto il clamore che si è fatto […] attorno alla messa non ci impedisce forse di intendere l’Eucaristia? Non ci distrae di continuo dall’entrare nel processo vertiginoso che ha inaugurato, per noi, alla sera della sua passione, il gesto così semplice e al contempo così innovatore di Gesù?». Secondo Cassingena-Trévedy quindi, una riapertura avveduta dovrebbe preoccuparsi di recuperare la centralità del mistero celebrato, dimenticando l’assillo per la presa territoriale e la moltiplicazione dei riti che essa porta con sé, in vista del ripristino del primato dello spirituale sul rituale, al fine di operare un’autentica «rivoluzione eucaristica».
La rubrica dedicata alla segnalazione di testi utili alla preparazione del commento liturgico della Parola domenicale si arricchisce qui di un’agile e utilissima rassegna di Sabino Chialà, monaco di Bose, dedicata alla presentazione di alcuni recenti commentari e monografie sul terzo vangelo, filo conduttore del lezionario festivo del prossimo anno liturgico. La presentazione, volutamente essenziale, si offre come aggiornamento e guida bibliografica mirata, segnalando peculiarità e punti di forza di ogni pubblicazione, per agevolare il lettore nella scelta di reperire lo strumento più adatto ai propri interessi, inclinazioni ed esigenze.
Dopo il contributo dedicato alla Patris corde, pubblicato sul numero di aprile, torniamo sulla figura di san Giuseppe con uno studio che approfondisce la ricca storia del culto che il cattolicesimo gli ha gradualmente dedicato. Si delinea un percorso che culmina con la proclamazione nel 1870 a «patrono universale della Chiesa». Ne è autore Mons. Saverio Xeres, docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, che offre qui non solo una sapiente rassegna storica delle forme della devozione a san Giuseppe, necessaria per cogliere in profondità il significato di questo anno particolare che papa Francesco gli ha voluto dedicare, ma anche gli elementi che conferiscono alla devozione nei confronti di questa figura, contemporaneamente capitale e discreta, tratti significativi anche per i nostri giorni.
Chi fra i lettori non è più giovanissimo probabilmente ricorda il grande impatto narrativo e la forza provocatrice con la quale, nei primi anni ’90, il Decalogo di Krzysztof Kieslowski aveva ‘sedotto’ molti credenti e non credenti, riuscendo nell’impresa di togliere i dieci comandamenti dal polveroso archivio confessionale e restituire loro una misteriosa e affascinante capacità di interrogare la realtà quotidiana. A 25 anni dalla scomparsa del grande regista polacco, Giuseppe Frangi, giornalista e presidente dell’Associazione Giovanni Testori, offre una magistrale ripresa della sua poetica. Incentrata sull’eccedenza della realtà e della vita rispetto a ogni forma di comprensione, essa è animata anche dalla persuasione di quanto l’esistenza concreta sia irriducibile a qualsiasi dualismo etico e a ogni presunta evidenza religiosa. Eppure – afferma l’autore – «Decalogo è pervaso da una tensione di ricerca che non sapremmo come definire se non “religiosa”: siamo di fronte a una indagine fedele e magnifica sulla condizione umana, con le sue fragilità e anche con la sua bellezza. Tenendo però fede alla premessa che spesso Kieslowski ripeteva a sé e ai suoi interlocutori: “Prima di tutto io non so”».
Il recente saggio di Mauro Magatti e Monica Martinelli, La porta dell’autorità (Vita e Pensiero, Milano 2021, pp. 248, € 18), affronta un tema delicato e inevitabile, che oggi sperimentiamo dal punto di vista degli esiti della sua decostruzione negli ultimi decenni. Ci siamo forse liberati dall’autoritarismo ma abbiamo nel contempo rarefatto, per non dire inibito, il ruolo sociale e intersoggettivo dell’autorità. Gli autori ritengono opportuno compiere uno sforzo di riflessione per restituire dignità culturale al tema. Una società non può vivere senza processi autoritativi. Se essi non sono espliciti, rischiano di agire in modo occulto, quindi pericoloso. La puntuale recensione di Marco Ronconi, docente invitato alla Pontificia università Gregoriana, evidenzia come il testo cerchi di rispondere alla questione, proponendo la strada «difficile ma attraente dell’autorità autoriale, che ricostruisce il senso inter-generazionale e le forme dell’asimmetria sociale nella prospettiva di un legame sociale dinamico e generativo».
Pubblicata la tesi di Caoduro, sul ruolo della diplomazia sportiva tra Stati Uniti e Cina, vincitrice della sezione Vita e Pensiero del Premio Gemelli.