Completiamo qui la pubblicazione dello studio di don Dario Vitali, docente di Ecclesiologia presso la Pontificia Università Gregoriana, in occasione dei cinquant’anni dalla promulgazione di Ministeria quaedam (15 agosto 1972). La prima parte dell’intervento è stata dedicata alla ricostruzione del contesto post-conciliare nel quale si colloca il dibattito attuale. Questa seconda parte sviluppa l’analisi dei recenti Motu proprio di Francesco e, a partire da questi, la discussione delle prospettive di una teologia dei ministeri in chiave sinodale. Essa può essere elaborata applicando al caso specifico dei ministeri «il principio – e perciò la logica – della “mutua interiorità” che regola la relazione tra Chiese particolari e Chiesa universale […] “nella e a partire dalla” Chiesa universale è dato il principio di unità, in forza del quale il Vescovo di Roma istituirà solo quei ministeri che rispondono al principio dell’utilità per la Ecclesia tota, e lascerà alle singole Chiese la libertà necessaria per costruire intorno al vescovo, principio di unità nella sua Chiesa, un quadro ministeriale ricco e articolato».
La ritrovata centralità del tema sinodale, dovuta soprattutto al rilancio delle sessioni universale e italiana, è occasione preziosa per riflettere su importanti aspetti che vi sono implicati. Tra questi, la dimensione del potere, componente costitutiva delle reali dinamiche ecclesiali, per quanto sovente rimossa. Don Paolo Arienti, presbitero della diocesi di Cremona e docente di Ecclesiologia presso i seminari di Cremona, Vigevano, Pavia, Crema e Lodi, riflette sul tema a partire dai suoi fondamenti, mostrando come il potere sia una delle chiavi di lettura della vita stessa di Cristo e una delle dimensioni più proprie della Chiesa, intesa sia come istituzione gerarchica sia come spazio di realizzazione delle istanze evangeliche. L’appello alla sinodalità e le sue concrete attuazioni invocano, secondo l’autore, una ridefinizione del potere in seno alla Chiesa, dei suoi stili e delle sue strutture. Don Arienti sostiene così la convinzione che un’attenta cura della forma evangelica del potere «non solo autorevole, ma soprattutto autorizzante, e dunque accogliente e istituente l’altro, è come la chance che può rendere possibile una riforma in chiave sinodale della Chiesa».
Presentiamo qui un’agile e originale rifl essione di don Roberto Maier, docente di Teologia presso l’Università del Sacro Cuore e redattore della rivista, che, a partire dal pensiero di papa Francesco sull’idea di popolo, approfondisce il tema del sapere dell’uomo comune, provando ad andare oltre la contrapposizione intellettualistica fra doxa ed episteme, distinzione schematica che finisce per indiziare di ignoranza la sensibilità popolare. Il tema ha evidente risonanza ecclesiale in questa stagione concentrata sulle questioni della sinodalità e può essere fatto avanzare raffinando gli strumenti che consentono di leggere il sapere dell’uomo/fedele ‘semplice’. Infatti, «“ciò che l’uomo sa” non è mai un dato, né un semplice deposito di conoscenze. Ciò che l’uomo sa, ciò che riconosce come autentico, è proprio il dramma della libertà. […] Il compito di chiederci cosa sa l’uomo, coinvolge la Chiesa perché è un tutt’uno con il compito di svelare l’uomo a sé stesso. Similmente, l’abilitazione del cittadino al dialogo democratico dovrebbe essere riconosciuta come una funzione essenziale di qualunque istituzione civile. L’edificazione di un popolo passa soprattutto da qui».
La ricerca condotta da Lucia Boccacin, Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, – i cui risultati ci vengono esposti in modo sintetico qui di seguito – può interessare i lettori della Rivista come strumento per focalizzare alcuni punti di resistenza delle nostre istituzioni parrocchiali, immerse in un mutamento epocale. Se è vero che – come ha appena affermato il vescovo di Bolzano-Bressanone – la Chiesa popolare si sta sciogliendo come i nostri ghiacciai, i dati e le analisi qui presentate mostrano che in un periodo eccezionale come quello segnato dalla pandemia le parrocchie sono riuscite a conservare e a nutrire il proprio tessuto sociale, dimostrandosi forme comunitarie che reggono anche dentro i contesti molto fluidi delle nostre società. Magari non più nella forma della fontana del villaggio – immagine molto cara a papa Giovanni XXIII – le parrocchie continuano a essere case di Dio tra le case degli uomini. Con una sfida aggiuntiva: il confronto con un universo, quello digitale, che per il momento è assunto solo per le sue potenzialità tecniche, e non è ancora stato misurato per quello che realmente è: una vera rivoluzione antropologica. Essa pone domande radicali a una fede incarnata come quella cristiana, ma apre anche vie inedite per l’annuncio del Vangelo, obbligando il cristianesimo alla ricerca di nuovi linguaggi per dire l’indicibile: un amore capace di attraversare e vincere la morte.
Sta imponendo la sua urgenza, nella vita di chiesa, la questione di un patrimonio immobiliare divenuto sovrabbondante e ampiamente sottoutilizzato. La questione diventa particolarmente problematica per quel che riguarda le chiese, molte delle quali e in modo crescente restano ormai inutilizzate e il cui mantenimento mette in seria difficoltà l’economia delle comunità. L’intervento di Andrea Longhi, professore di Storia dell’architettura presso il Politecnico di Torino, affronta con grande competenza il problema, in tutti i suoi diversi aspetti, offrendo i criteri per una comprensione dinamica del fenomeno e per la sua collocazione nel quadro delle pratiche sociali. Il destino di chiese che restano vuote tocca anche i temi più ampi della memoria e dell’identità collettiva. L’intervento chiude con la presentazione delle prime linee guida vaticane su La dismissione e il riuso ecclesiale di chiese (2018) perorando l’avvio di un «agire architettonico di ogni comunità che consente la continua riappropriazione delle proprie strutture, attualizzandole e rendendole così sempre abitabili e usate, sia come potente mezzo di comunicazione e testimonianza della fede, sia come strumento di testimonianza e impegno sociale».
È da pochi mesi sugli scaffali delle librerie, edito da Vita e Pensiero, L’iniziazione. Dieci lezioni sul nascere e morire, l’ultimo saggio del noto teologo PierAngelo Sequeri. Come sa bene chi ne frequenta il lavoro, ogni saggio di Sequeri ripensa in profondità i paradigmi dei temi di cui tratta, insegnando a interpretare altrimenti quello che non basta dire diversamente. A maggior ragione questo vale per il presente saggio, che ripensa e quasi rifonda il tema delle cose ultime, nascere e morire, uniti della comune categoria di iniziazione. Il saggio viene presentato per la rubrica Terza pagina da don Rinaldo Ottone, docente di Filosofia presso l’ISSR Giovanni Paolo I di Treviso, introducendo con garbo il lettore a una prima decodifica della mappa teorica del saggio, al «rovesciamento» di prospettiva operato da Sequeri, che «dischiude la possibilità di leggere la morte non più come mero annientamento, bensì come transito verso un nuovo inizio, così come le culture di ogni luogo e di ogni tempo da sempre hanno indicato: “La vita mortale come passaggio. Un passaggio che, proprio come tale, parla del desiderio e della libertà in un senso assoluto, eccedente, misterioso”».
Sabato 16 dicembre presentazione di "Le fiabe non raccontano favole" di Silvano Petrosino a Verona: diventare donna attraverso Cappuccetto Rosso, Biancaneve e Cenerentola.
Un estratto dal libro "Si destano gli angeli" di Tomáš Halík, per confortare, incoraggiare e ispirare “chi è ancora in cerca di altro” in questi tempi difficili.
Il magazzino Vita e Pensiero resterà chiuso per le festività dal 24 dicembre. Prima della chiusura sarà possibile spedire i volumi ordinati entro la mattina del 19 dicembre. Le spedizioni riprenderanno regolarmente l'8 gennaio 2024. Puoi acquistare e scaricare articoli digitali e ebook in ogni momento, anche durante la chiusura. BUONE FESTE!