Si completa con questa seconda parte la pubblicazione dello studio di Stefano Chiarolla, giovane teologo, sacerdote dell’Arcidiocesi di Milano e dottorando in Filosofia all’Università di Vienna, dedicato alla ripresa del Simbolo niceno a 1700 anni dalla sua redazione, e alla considerazione dei suoi elementi di attualità. Questa parte invita il lettore a entrare nella comprensione linguistica del credo scaturito da Nicea, approfondendola e mettendo in luce la sua dimensione «agapico-relazionale», cioè la sua capacità di aprire la vita spirituale e la prassi dei credenti al Mistero divino. Un tratto del Simbolo che merita una riscoperta, a beneficio della comunione che è sempre il fine di ogni definizione dogmatica.
In occasione del sessantesimo anno dalla chiusura del Concilio Vaticano II, la Rivista interverrà con una serie di studi dedicati a considerare l’evoluzione di alcuni temi salienti in questi sessant’anni di recezione conciliare, e verificare la vitalità delle traiettorie aperte da quell’evento epocale. La rassegna prende il via dal tema liturgico, con il contributo di don Marco Gallo, presbitero della diocesi di Saluzzo (Cn) e direttore della «Rivista di Pastorale Liturgica». Il suo saggio mostra come molte delle istanze relative alla liturgia presenti nei testi conciliari siano ancora al centro delle sfide pastorali e teologiche attuali, prefi gurando e attivando «cantieri liturgici che non si trovano nelle Costituzioni conciliari ma che sono pienamente frutto dell’evento Vaticano II». L’autore ne ricorda tre: la dinamica di iniziazione cristiana ai riti e, attraverso essi, la questione dell’ars celebrandi e la sfida della cattolicità rituale, tra unità e pluralità. Esse raccomandano un approccio che, alla scuola di Paolo VI, «chiede raffinatezza nello scegliere tra molte opzioni. Incarna una cattolicità non in senso polemico, ma antico, plurale. Dalle cattedrali alle favelas, dovrebbe finalmente essere il tempo di questa liturgia delicata. Trattandosi d’amore, ogni gesto è tutto».
Don Claudio Margaria, parroco di una piccola e complessa comunità pastorale della diocesi di Saluzzo, insegnante di Teologia all’ISSR di Fossano (Cn), presenta qui un originale studio che legge in sinossi apertura e chiusura della narrazione degli Atti degli apostoli. La scelta di questo approccio si mostra efficace nel far emergere come nella chiusa del testo, che lascia apparentemente incompiuto il racconto, la vicenda di Paolo realizza le indicazioni del Risorto che aprono il libro, proponendosi quale preziosa sintesi di uno stile ecclesiale per tempi difficili. Sono la condizione di limite e attesa dell’apostolo, il suo stare in povertà di mezzi, la testimonianza nel semplice stile dell’accoglienza che danno sostanza e vita a una forma della testimonianza che parla alla Chiesa d’oggi e suggerisce percorsi di alleggerimento delle strutture e della pianificazione pastorale.
Don Cristiano Passoni, docente di Teologia spirituale presso l’ISSR di Milano e assistente generale dell’Azione Cattolica ambrosiana, propone una densa riflessione sulla ‘figura spirituale’ del prete del nostro tempo. Essa prende avvio dalla domanda di consolazione che nasce dalle faticose prove alla quale il prete viene esposto dalla complessità dell’attuale passaggio d’epoca. Un tale bisogno viene letto in risonanza con l’esperienza di Paolo, narrata nella Seconda lettera ai Corinti, dove il tema della consolazione trova una ricca declinazione. Essa non viene presentata come una gioia generica, non è neppure l’aver imparato qualcosa dal dolore, ma si radica in una dimensione teologica, è anzitutto «dono di Dio», «elargito a lui nel comprendere le stesse sofferenze di Cristo, esperito nel suo stesso dolore e, tramite lui, offerto alla comunità cristiana». Sperimentare la consolazione leggendo le proprie sofferenze alla luce del mistero della morte e risurrezione di Gesù – conclude don Passoni – è principio di rigenerazione pratica del ministero, poiché offre la profondità spirituale capace di rivedere lo sguardo su di sé e sulla comunità, proporre un principio interpretativo nuovo nell’affrontare le prove, leggere la realtà e orientarsi nelle novità.
Lo sviluppo degli studi esegetici non ha liberato la figura di Giuda dall’aura carica di enigma e inquietante che sollecita e interpella la sequela del credente. Anche Donatella Scaiola, biblista e docente alla Facoltà di missiologia della Pontificia Università Urbaniana, in questo puntuale e approfondito studio conclude su un aspetto che i testi lasciano non risolto: «Perché Giuda abbia tradito Gesù, rimane la questione fondamentale, che ancora attende di trovare una risposta completamente soddisfacente». Interrogativo che i vangeli riflettono su ogni discepolo con la domanda «Sono forse io?», che lascia intendere «che potenzialmente ognuno dei Dodici avrebbe potuto diventare un traditore. Giuda realizza quello che ciascuno avrebbe potuto fare».
Il breve saggio di don Francesco Scanziani, docente di Antropologia teologica presso la sede milanese della Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, riprende il tema giubilare collocandolo nell’ambito pulsante dell’esperienza del dolore e della malattia. La sua riflessione prende le mosse dalle domande dei sofferenti, dalle più semplici, legate alla possibilità del ritorno a un’esistenza degna, a quelle che si spingono verso il senso del morire e di una vita che si vorrebbe ‘eterna’. Questioni pungenti e di sempre che trovano qui una ripresa pacata che accompagna l’annuncio evangelico e neotestamentario con una delicata fenomenologia. Il testo, che riprende un recente intervento formativo tenuto in ambito di Pastorale della salute della Diocesi di Milano, si propone così nella sua attualità ecclesiale e pastorale.
Carlo Ossola racconta "La biblioteca di notte" di Alberto Manguel: una cosmolibreria, un libro "lieve e fervido", un invito a spalancare le biblioteche ai giovani, anche di notte.