Con la scomparsa di padre Giacomo Martina, avvenuta il 6 febbraio 2012, la «Rivista di storia della Chiesa in Italia» ha perso un affezionato e instancabile collaboratore. Era membro del Consiglio di Redazione dal 1979, ma anche in precedenza aveva collaborato con il periodico pubblicando numerosi contributi e, finché la salute glielo ha permesso, ha sempre partecipato assiduamente alle riunioni, interessandosi agli articoli da pubblicare, esaminando i libri da recensire, esprimendo giudizi precisi e particolareggiati, sempre animato da un grande interesse e insieme da un professionale spirito critico. Soprattutto ha continuato a scrivere recensioni. Le ultime quattro sono uscite nel 2009, quando ormai la malattia lo aveva sottratto definitivamente al suo amato lavoro di studioso. Forse risultano un po’ disorganiche, ma sono sempre ricche di spunti di riflessione e rivelano ancora la sua particolare capacità di cogliere i problemi storici, di fare schemi efficaci, di aprire piste di ricerca.
In 1980, Agostino Paravicini Bagliani published what was then supposed to be the sole surviving testamentary record of Giordano Pironti, cardinal deacon of SS. Cosma e Damiano, preserved in the archives of the cathedral of Viterbo. This took the form of a brief codicil, recording the identity of the cardinal’s executors and listing a series of bequests, for the most part to kinsmen and familiars, the kinsmen bearing the name “Pirunti”, itself of no small signifi cance in confi rming the cardinal’s own family name. The codicil at Viterbo was phrased merely an afterthought (a “codicillum”) to a will (“testamentum”) already made. It is this will, or a substantial part of it, that has now re-emerged amongst the archives of Salisbury Cathedral. It is published below. As I have remarked in other contexts, the well-stocked archives of England, supplemented by the extraordinarily rich evidences of the English royal chancery, often supply a better resource from which to reconstruct the careers of French and Italian visitors to England in the thirteenth century than the archives of France or Italy where we might expect such fi gures to be properly documented. In this particular instance, we are fortunate that Salisbury Cathedral boasts a rich collection of thirteenth-century wills, for the most part of the canons of Salisbury Cathedral. These were preserved, we must assume, because of the pious diligence shown by such canons in bequeathing property to the cathedral church. As we shall see, not only do the English archives supply us with cardinal Giordano’s will, but they permit a far more detailed examination of his career than anything previously attempted.
Il 5 aprile del 1291 l’esercito del sultano mamelucco al-Ashraf Khalıl– succeduto al padre Qalawun, mancato proprio alla vigilia della decisiva campagna contro i crociati – si dispose dinanzi alle mura di San Giovanni d’Acri, capitale del regno latino di Gerusalemme. Ancora alla vigilia dell’assedio, quando le missive del sultano al maestro del Tempio non lasciavano margini d’intesa, i Cristiani avevano adottato la strategia che tante volte in passato si era dimostrata efficace: quella del negoziato. L’invio di un’ambasceria composta da un cavaliere di Acri esperto in lingua araba, un templare, un ospedaliere e uno scrivano, con doni e proposte di mediazione, si era però risolta con l’imprigionamento degli emissari, destinati a morire nelle carceri egiziane. La guerra era ormai in moto e l’obiettivo stabilito. Per dimensioni ed equipaggiamento l’oste musulmana sovrastava senza dubbio le forze cristiane. Intorno alla città erano confluite la principale colonna egiziana condotta dallo stesso sultano e gli eserciti degli emiri siriani alleati, in primo luogo quello di Hama che disponeva di eccezionali macchine d’assedio – comprese due catapulte di dimensioni straordinarie chiamate la Vittoriosa (al-Mansûrî) e la Furiosa (Ghadbân) – oltre a mangani maneggevoli ed efficaci nominati «Buoi neri».
La storiografia degli ultimi decenni si è particolarmente occupata della storia della santità, sia interessandosi alle forme del culto, sia indagando le pressioni e le spinte sociali che portavano al pubblico riconoscimento della santità. A più riprese è stato messo in luce l’intreccio tra interessi politici e diffusione di pratiche religiose, così come è stato intuito e esplicitato il bidirezionale e osmotico percorso che metteva in collegamento le richieste dei fedeli con la risposta della gerarchia ecclesiastica cui spettava il compito di imporre il sigillo dell’ortodossia su quelle stesse pratiche. Allo stesso modo, numerosi studi hanno evidenziato gli stretti rapporti esistenti tra la nascita e la promozione di determinati culti e il loro ruolo nella costruzione di una identità locale e “civica”. Queste due tematiche legate alla santità, quella identitaria e quella “funzionale”, si sono spesso intersecate, fornendo una chiave di lettura particolarmente felice di alcune dinamiche sociali e religiose che si possono riassumere con l’espressione “guerra dei santi”. L’uso di un culto specifico, la sua più o meno lenta e delicata imposizione, fino alla gestione dei luoghi ad esso maggiormente legati, sono stati per secoli strumenti nelle mani delle autorità, tanto temporali quanto spirituali, che li consideravano utili a creare un consenso profondo e radicato nei fedeli che in un qualche modo ricadevano sotto il loro controllo e la loro cura.
Intorno alla metà degli anni ottanta Gaetano Greco affermava che il tema dei giuspatronati laicali, anche per l’età moderna, fosse fra i meno frequentati dalla storiografi a sulle istituzioni ecclesiastiche, adducendo, fra le possibili cause del fenomeno, l’apparente tecnicismo dell’argomento e la circostanza che si trattasse di un istituto ormai scomparso sotto il fuoco della legislazione civile e in seguito all’evoluzione degli interessi dei ceti dirigenti e della restante parte della società. Questo scarso interesse poteva inoltre essere alimentato dal rischio, segnalato dallo stesso autore e da altri studiosi, che, in seguito al Concilio Vaticano II, l’eccessiva enfasi conferita ad alcune categorie ecclesiologiche avesse potuto orientare la storiografi a cattolica «verso un approccio ecumenico sociologico», tendenzialmente indifferente nei confronti di istituti giuridici derivanti da «un assetto di potere». La fondatezza di tale analisi ha trovato conferma nel fatto che nei decenni successivi, non si è assistito ad alcuna sostanziale inversione di tendenza: le ricerche sui giuspatronati laicali sono state scarse e limitate quasi tutte alla ricostruzione storica di vicende particolari, legate alla vita e alla storia di specifici istituti, in città e in provincia. Queste considerazioni di carattere generale sono valide anche per il Regno di Napoli, il più vasto stato preunitario italiano, per il quale, tuttavia, in anni non assai distanti è emerso un certo interesse almeno nei confronti dei benefici maggiori e, in particolare, per le diocesi e i vescovi di patronato regio.
“Questa idra molinistica convien attaccarla, combatterla, urtarla, inseguirla colla clava erculea della verità, sinché questa gran bestiaccia, peggior di quella minacciata dal prediletto veggente di Patmos, resti massacrata, morta e sepolta”. Con queste parole, scritte in una lettera datata 6 agosto 1786, GiambattistaRodella, segretario della famiglia Mazzuchelli e punto di riferimento della cultura giansenista bresciana, si esprimeva a proposito di uno dei membri più in vista della cultura filocuriale: l’ex-gesuita Giovanni Vincenzo Bolgeni. La lettera, indirizzata al cassinese Giuseppe Pujati, risulta particolarmente interessante e questo per due principali ragioni. Da una parte perché dalla sua lettura è possibile comprendere il livello a cui nel tardo Settecento era giunto lo scontro tra esponenti della cultura riformatrice cattolica ed ex-membri della ormai soppressa Compagnia di Gesù accusati, a causa dell’orientamento molinista da sempre predominante in seno all’ordine, di essere la causa dei mali che da secoli gravavano sulla Chiesa. Dall’altra perché le parole utilizzate da Rodella attestano il valore del soggetto descritto. Infatti, gli strali di Rodella, che definisce Bolgeni “idra molinistica”, richiedevano un bersaglio di primo livello, il teologo ex-gesuita per l’appunto, attraverso il quale colpire, seppur indirettamente, un intero orientamento teologico. E quale miglior obiettivo se non quello rappresentato da un teologo che nel corso degli anni Ottanta del XVIII secolo divenne uno dei più fi dati consiglieri di Pio VI e il capofila della cosiddetta “scuola romana”?
Le pergamene oggetto del seguente studio, editate criticamente per la prima volta in questa sede, sono conservate nella Collezione pergamene, serie Trinitari in S. Crisogono, dell’Archivio di Stato di Roma. La serie è composta complessivamente da 89 documenti pergamenacei, per la quasi totalità di natura pubblica, più specificamente pontificia, versati in Archivio a seguito dell’articolo 22 della legge 1402 del 19 giugno 1873 con verbale d’ingresso datato 12 settembre 1876. Tuttavia, nell’accostarsi ai documenti qui editi, ci si rende immediatamente conto che essi non riguardano i Trinitari, né tantomeno Roma e la chiesa di S. Crisogono in Trastevere. Protagonisti sono, infatti, l’ordine dei Carmelitani, personaggi e luoghi di Bologna o dell’area bolognese. Ciò si spiega in quanto la chiesa dedicata a questo santo martire di Aquileia, una delle più antiche del rione romano (risalente al V secolo), fu affidata, fi no al XII secolo, ai monaci benedettini, quindi al clero secolare, sostituito in seguito dai Canonici Regolari Lateranensi, per poi essere finalmente donata nel 1480 dal cardinale Girolamo Basso della Rovere, vescovo di Recanati e nipote di Sisto IV, a Battista Spagnoli detto il Mantovano – che ne fu il primo priore –, vicario generale della Congregazione di Mantova dell’ordine Carmelitano.
Nell’età contemporanea la fine di un pontificato ha rappresentato sempre un momento di notevole fermento per l’opinione pubblica, nel quale ai giudizi sul papa defunto (o dimissionario, come nel caso di Benedetto XVI) si sono unite le previsioni – fondate o meno – su quello che gli sarebbe succeduto. In più di un caso a essere poste in evidenza, talvolta per ragioni più di tipo mediatico che in seguito a una seria riflessione sul presente e sul futuro della Chiesa, sono state le esigenze di cambiamento e di riforma percepite da settori più o meno ampi del clero e del laicato, riguardanti spesso il funzionamento della Curia romana. Al di là del ruolo distorsivo che soprattutto negli ultimi anni i mass media hanno giocato in questo ambito, il manifestarsi nel pubblico dibattito delle aspettative dei credenti per il nuovo pontificato non è certo un fenomeno nuovo nella storia recente della Chiesa. Lo testimonia, per citare uno degli esempi più significativi, l’ampia produzione di opuscoli di vario orientamento (dai più accesamente conservatori ai più timidamente riformisti) che ha accompagnato i primi anni del pontificato di Giuseppe Sarto, divenuto papa con il nome di Pio X il 4 agosto 1903. Se da una parte è importante, anche in una prospettiva storica, valutare come il mondo (cattolico e non) “pensa la Chiesa” in corrispondenza dei tornanti più decisivi della sua storia, dall’altra non meno interessante è capire come in quegli stessi frangenti la Curia “pensa il mondo”, e ancora di più “pensa se stessa”. L’individuazione delle priorità che il nuovo pontefice è chiamato ad affrontare, tuttavia, matura all’interno della compagine ecclesiale e della Curia secondo linee di influenza e modalità non sempre suscettibili di essere ricostruite nel dettaglio.
Gli Atti del Concilio di Costantinopoli dell’869-870, nella versione latina eseguita da Anastasio Bibliotecario, vengono ora pubblicati a quattro mani in edizione critica: da Claudio Leonardi, che vi lavorava fin dai primi anni del suo percorso scientifico e che aveva pubblicato nel 1967 un fondamentale studio introduttivo, e da Antonio Placanica, che ha ricevuto da Leonardi l’incarico di continuare l’impresa e l’ha portata a termine dopo la scomparsa dello studioso. Una breve premessa al volume ricostruisce questa vicenda e distingue con cura, con grande onestà intellettuale, quanto al suo interno si deve all’uno e all’altro dei due studiosi; ma proprio in virtù del rapporto fiduciario fra Leonardi e Placanica ci sembra di poter dire che l’opera nel suo insieme è frutto di una collaborazione profonda e inestricabile, che costituisce il segreto di un’edizione che è insieme difficile, esemplare, entusiasmante. Il Concilio dell’869-870 fu riunito, su sollecitazione di papa Adriano II e alla presenza di suoi legati, con l’obiettivo principale di ratificare la deposizione del patriarca costantinopolitano Fozio e la restaurazione di Ignazio, e di chiudere così una controversia che durava dall’858, quando Fozio aveva soppiantato Ignazio. Gli Atti conciliari, nella loro forma originaria greca, sono andati perduti; in questa lingua ne rimane soltanto un’ampia epitome all’interno della cosiddetta Collectio Ignatiana, che risale probabilmente a qualche decennio dopo i fatti. Il documento più fedele del resoconto originario è la traduzione latina eseguita a Roma, poco tempo dopo la chiusura del Concilio, da Anastasio bibliothecarius sedis apostolicae, un titolo che spettava al capo della cancelleria pontificia.
Il volume contiene le seguenti recensioni: Alle origini del Cantone e delle Tre Valli. Il testamento di Attone da Vercelli (secolo X). Omaggio a Romano Broggini per i suoi 85 anni. Atti del XVI Convito dei Verbanisti (Biasca, 25 settembre 2010), a cura di Giancarlo Andenna eGiorgio Margarini (Giacomo Vignodelli) – Robert Somerville, Pope Urban II’s Council of Piacenza. March 1-7, 1095 (Giuseppe Fornasari) – Miriam Rita Tessera, Orientalis ecclesia. Papato, Chiesa e regno latino di Gerusalemme (1099-1187) (Krjstian Toomaspoeg) – Alexander Patschovsky, Die Concordia Novi ac Veteris Testamenti Joachims von Fiore (†1202). Klassifi kation der Handschriften (Marco Rainini) – Da Accona Matera: Santa Maria la Nova, un monastero femminile tra dimensione mediterranea e identità urbana (XIII-XVI secolo), a cura di Francesco Panarelli (Pietro Silanos) – Anna Maria Valente Bacci, Una leggenda tedesca di santa Rosa (secolo XV), Codex Sangallensis A 589 (Alfonso Marini) – Gian Matteo Giberti (1495-1543). Atti del convegno di studi, a cura di Marco Agostini e Giovanna Baldassin Molli (Emily Michelson)– Francesca Terraccia, In attesa di una scelta. Destini femminili ed educandati monastici nella Diocesi di Milano in età moderna (Francesco Parnisari) – Catia Magni, Governare la diocesi nei conflitti. Lettere di Gregorio Barbarigo ai familiari (1671-16 76); Pierluigi Giovannucci, Il decennio finale dell’episcopato padovano. Lettere di Gregorio Barbarigo ai familiari (1688-1697) (Maria Rita Ruggeri) – La Rivoluzione in convento. Le Memorie di Anna Vittoria Dolara (secc. XVIII-XIX), a cura di Simonetta Ceglie, con un saggio di Sara Cabibbo (Chiara Coletti) – Giovanni Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la modernità (Annibale Zambarbieri)
Dal 12 al 14 settembre 2013 si è svolto, nell’Aula Magna dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia, il convegno «Responsabilità e creatività. Alla ricerca di un uomo nuovo (secoli XI-XIII)». Il convegno faceva parte della Nuova Serie delle Settimane della Mendola (2011-2013) ed era organizzato dalla sede bresciana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dal CESIME (Centro Studi sulla Storia degli Insediamenti Monastici Europei) e dal Dipartimento di studi medioevali, umanistici e rinascimentali della sede di Milano dell’UCSC. La prima sessione, presieduta da Cosimo Damiano Fonseca, è stata introdotta dall’intervento «Il nuovo CESIME », in cui Giancarlo Andenna ha illustrato brevemente le finalità del nuovo centro di ricerca sugli insediamenti monastici in Europa, nato nel 2011. Il professor Andenna ha poi tracciato una storia delle Settimane della Mendola, nella cui tradizione si inserisce il convegno, dedicato all’emergere dell’individualità e delle sue manifestazioni, responsabilità e creatività, nei secoli centrali del Medioevo.
Le giovanni donne sempre più lontane, i giovani in solitaria ricerca, il dovere degli adulti di mettersi in ascolto: Paola Bignardi racconta il libro-inchiesta "Dio, dove sei?".