La ragione negli affetti
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La ragione negli affetti. Radice comune di logos e pathos
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Anno:
2021
Almeno a prima vista, il percorso dell’etica occidentale appare segnato da un’ostilità irriducibile tra logos e pathos
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Almeno a prima vista, il percorso dell’etica occidentale appare segnato da un’ostilità irriducibile tra logos e pathos. Fin dall’origine, l’affanno filosofico principale sembra dovuto al tentativo di limitare il commercio con le passioni, assumendo il controllo razionale dell’esperienza. Ma più il logos ha cercato di mantenersi puro, più le passioni si sono scatenate, divenendo - soprattutto nel Romanticismo - il controcanto della ragione.
Oggi l’antica discordia si è lentamente trasformata in una separazione senza ritorno. Così, da una parte, il pathos è celebrato nella forma privata e insindacabile dell’emozione; dall’altra, il logos si muove entro la corta misura della ragione scientifica, che - per definizione - è ‘anemotional’. Si tratta di un destino inevitabile? Dipende dalla premessa: se il pathos è ‘alogon’, cioè un ‘altrove’ irrazionale della razionalità, allora è impossibile rimediare ad un’estraneità così radicale. Se, invece, l’affettivo è concepito come un modo di funzionare che è proprio della ragione, se, in altri termini, pathos e logos hanno una radice comune, allora c’è spazio per comporne l’unità.
Muovere da questa seconda premessa non pare insensato: persino coloro che hanno inteso difendere la purezza della ragione, come - ad esempio - gli Stoici, Platone, Descartes, Spinoza, Kant, non sono così lontani dall’idea di una primordiale e reciproca afferenza di logos e affettività. Idea che la tradizione classica (in particolare aristotelica e scolastica) è stata capace di pensare e che la fenomenologia (soprattutto con Michel Henry) ha in qualche modo reinventato, accreditando la consapevolezza che una soggettività razionale finita, situata in un corpo, è pensabile unicamente a partire dalla presenza della ragione negli affetti: non si dà logos se non dentro il campo della ricettività (che va dal sensibile allo spirituale); né si dà affettività umana che non sia, in qualche modo, già innervata dalla ragione.
Biografia dell'autorePaolo Gomarasca insegna Antropologia alla Facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e svolge la sua attività di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale della medesima Università. Tra i suoi lavori: Rosmini e la forma morale dell’essere (Milano 1998); Il linguaggio del male (Vita e Pensiero, Milano 2001); I confini dell’altro. Etica dello spazio multiculturale (Vita e Pensiero, Milano 2004). |
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