Adozione e affido non sono forme nuove di fare famiglia. Da sempre hanno rappresentato una risposta spontanea del sociale al bisogno di ‘cura’ dei bambini privi di un contesto familiare adeguato e al tempo stesso una espressione del desiderio ‘generativo’ e prosociale delle famiglie. Si tratta di due istituti giuridici che meritano di essere rilanciati, sottolineandone le potenzialità e riscoprendone la più autentica natura. Infatti sono forme che consentono di mettere in luce alcuni elementi costitutivi del famigliare, essenziali oggi, forse più che in passato, per riflettere sul significato dell’essere genitori e dell’essere figli. Adozione e affido si collocano nel punto di intersezione tra familiare e sociale e ne rivelano la profonda interconnessione: anche il sociale, perciò, è chiamato ad assumere una specifica responsabilità nel sostenere le famiglie attraverso le diverse tappe del percorso dell’adozione e dell’affido. La trattazione congiunta delle tematiche relative all’adozione e di quelle relative all’affido, nei risvolti di somiglianza e di distinzione, e il respiro interdisciplinare e internazionale che attraversa tutti i contributi qualificano in modo peculiare questo volume, che si rivolge a studenti, a professionisti e a operatori del settore impegnati nell’accompagnamento delle famiglie adottive e affidatarie.
Parte Prima. Adozione e affido: contesti disciplinari e prospettive
Se è vero che ancora oggi Telemaco non smette di guardare il mare in attesa del ritorno del padre, in che modo lo può riconoscere (Recalcati, 2013)? E quale madre può indicarglielo in un tempo che addirittura parla di eclissi della madre (Boccia - Zuffa, 1998; Moneti Codignola, 2009)? Nel passaggio del millennio la cultura occidentale, che discorre dell’essere abbandonato (Nancy, 1995) e della propria debolezza nei confronti di una tecnica tendente a egemonizzare ogni ambiente di vita (Habermas, 2002; Irti - Severino, 2001; Mengoni, 2011), deve fare i conti con una certa liquidità delle relazioni significative (Bauman, 2002) che pretende di riflettersi nel dover essere delle forme giuridiche della filiazione. Ciò che viene messo in discussione non è più, come nel Novecento, il contenuto tradizionale dei ruoli – della paternità e della maternità – col loro sovraccarico paternalista e autoritario, ma lo stesso criterio di attribuzione del ruolo (chi è padre, chi è madre), nonché il carattere duale e complementare della genitorialità come unione di paternità e maternità (c.d. bigenitorialità): specialmente le nuove biotecnologie, ma non solo, tendono infatti a far ritenere disponibile (volontario, cedibile) il ruolo genitoriale (giuridicamente, lo status), benché così facendo contribuiscano ad annacquarne il significato specifico o almeno a separarlo artificialmente dalla dimensione corporea che finora lo ha caratterizzato.
Cosa può offrire il modello relazionale-simbolico messo a punto da Cigoli e Scabini alla comprensione e alla cura del legame adottivo? Parecchia ricerca è stata realizzata sul tema fin a partire dagli anni Novanta del secolo scorso avendo come riferimento l’approccio relazionale. Qui in particolare rifletteremo sul tema del doppio. Chiamiamo ‘doppia oscurità’ quella inerente l’abbandono e l’infertilità e ‘doppia nascita’ quella inerente la differenza tra venire al mondo ed entrare a far parte di un contesto generativo-generazionale. È allora opportuno soffermarsi brevemente sulla matrice di pensiero che caratterizza il modello relazionale-simbolico. Si tratta di una teoria psicodinamica dei legami generazionali che considera il ‘famigliare’ come struttura organizzativa originaria delle relazioni umane.
In Italia non è facile accedere a informazioni sistematiche su molti aspetti caratterizzanti la vita di bambine, bambini e adolescenti, in particolare è ancora disomogenea la raccolta di dati quali-quantitativi riferiti ai bambini inseriti in percorsi di protezione, cura e tutela. È questo un vulnus molto pericoloso perché, ai fini della programmazione delle politiche e degli interventi, l’assenza di dati rischia, talvolta, di diventare un pretesto per considerare inesistente un problema o per minimizzarne le dimensioni. Nelle Osservazioni conclusive circa i contenuti del Terzo - Quarto Rapporto periodico presentato dall’Italia sullo stato di attuazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dei relativi Protocolli opzionali, il Comitato ONU che ne monitora l’applicazione dedica particolare attenzione alla nostra carenza di dati, esprimendo preoccupazione “per la scarsità dei dati disponibili sul rispetto dei diritti dei minori, in particolare le statistiche sui bambini vittime di violenza, privati dell’ambiente familiare (compresi i minori in affidamento), vittime di sfruttamento economico, affetti da disabilità, adottati, rifugiati e richiedenti asilo” e per “le notevoli differenze esistenti nella capacità e nell’efficacia dei meccanismi di raccolta dei dati a livello regionale”.
La Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, in occasione della Giornata internazionale dei Diritti del Fanciullo il 20 novembre dello scorso anno, ha scelto come tema l’adozione e l’affidamento e ha preparato e diffuso un documento intitolato appunto, con piccola imprecisione terminologica, Adozioni e affido in Italia. La scelta del tema appare di per sé significativa, considerate le molte alternative collegate all’odierna difficile condizione delle persone minori di età e ben più meritevoli di essere ricordate dalla Commissione parlamentare in occasione di quella ricorrenza. Ma proprio per comprendere le questioni aperte conviene prendere le mosse da quel testo, che contiene gli ultimi dati statistici disponibili e il documento conclusivo dell’indagine conoscitiva effettuata dalla Commissione stessa nel corso della XVI Legislatura, tra il marzo e il dicembre del 2012. La Commissione individua come primo elemento di criticità nella materia dell’adozione il decremento delle domande che si registra da alcuni anni nel nostro Paese. Il dato statistico conferma il fenomeno rilevato, e ciò sia nel campo dell’adozione nazionale dove le domande sono scese dalle 16.538 del 2006 alle 11.075 del 2011, sia in quello dell’adozione internazionale dove il calo delle dichiarazioni di disponibilità tra il 2011 e il 2012 è quantificato nel 22%.
L’istituto dell’adozione nazionale e internazionale si è notevolmente sviluppato negli ultimi anni divenendo un fenomeno di grande attualità che ha stimolato studi e ricerche in ragione delle importanti proporzioni assunte. In particolare nei Paesi dell’Unione Europea l’istituto dell’adozione e in particolare quello dell’adozione internazionale hanno assunto una rilevanza numerica e delle caratteristiche particolari, tali da connotarlo in maniera significativa e da richiedere una valutazione da parte delle istituzioni europee sull’opportunità di dotarsi di strumenti di indirizzo e regolamentari specifici. Deve essere innanzitutto rilevato come – sotto il profilo dell’adozione internazionale – dell’Unione Europea facciano parte sia Paesi di destinazione che Paesi di accoglienza di minori. Tale specifica caratteristica differenzia notevolmente la percezione nazionale del fenomeno ma soprattutto la regolamentazione a livello sovranazionale dello stesso poiché le differenze procedurali ma anche sostanziali tra Stati da cui i bambini partono e Stati in cui gli stessi bambini arrivano sono assai rilevanti e comportano sicuramente interventi diversi e diverse garanzie.
The debate about intercountry adoption remains passionate in many countries, especially now that this very specific child protection measure is at a turning point of its history. Indeed, since the year 2004, global statistics of receiving countries show a decrease of roughly 50% in the number of children adopted world-wide, while the number of potential adopters remains high in those same countries3. The reasons behind this phenomenon are well known: several countries of origin have developed policies to strengthen domestic adoption (with success for many of them, like India, Brazil, Chile etc.), new regulations were adopted to limit the number of applications of candidates and the number of foreign adoption agencies (in China and the Philippines for instance), serious problems and abuses let to temporary or definitive closure of adoption procedures in some countries (Kyrgyzstan, Moldova, Russia etc.).
L’affidamento familiare è uno strumento di tutela all’infanzia duttile ed efficace, tuttavia ad oggi non ancora ben consolidato e diffuso omogeneamente sull’intero territorio nazionale. Infatti, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 e del conseguente ampio riconoscimento di autonomia legislativa ed organizzativa alle Regioni in materia di politiche sociali, i servizi che si occupano di affidamento familiare per lungo tempo sono rimasti privi di strumenti di coordinamento a livello nazionale, in una realtà in rapida e profonda trasformazione sia per i crescenti flussi migratori che hanno investito il nostro Paese, sia per le trasformazioni socio-economiche che hanno pesantemente inciso sul tessuto sociale e sulla possibilità di gestire positivamente le difficoltà da parte delle famiglie più fragili. Per ovviare a questa situazione, alcuni anni fa, il Coordinamento Nazionale dei Servizi Affido (CNSA) ha iniziato a promuovere iniziative di coordinamento a livello nazionale, finalizzate alla ricognizione delle esperienze in corso, alla realizzazione di momenti di formazione ed alla progettazione di nuove modalità di intervento: sono così nate le recenti “Linee di indirizzo per l’affidamento familiare”.
Parte Seconda. Adozione e affido: tra ricerche e interventi
La teoria dell’attaccamento costituisce uno fra i possibili paradigmi di lettura dell’esperienza adottiva ed ha avuto il merito di aver focalizzato l’attenzione sull’importanza delle relazioni precoci nella costruzione del senso di sicurezza del bambino. Tale approccio arriva a considerare l’ambiente accuditivo una realtà psichica, piuttosto che esclusivamente il contesto nel quale egli viene accolto per proseguire il suo cammino di crescita (Riva Crugnola, 2012). Il cambiamento ormai stabile del profilo dei bambini adottati e la varietà dei luoghi di provenienza hanno posto negli ultimi anni nuove complessità tanto all’attenzione degli operatori che all’impegno dei genitori. Ci troviamo infatti di fronte a bambini che hanno spesso più di sei anni, con bisogni speciali, che sovente entrano in famiglia insieme ad un fratello, ma che possono anche essere stati separati da una fratria più numerosa. Questa situazione sembra la regola, e costituisce semmai l’eccezione l’adozione di un bambino piccolissimo.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta l’adozione divenne oggetto di ricerca in psicologia e si sviluppò un corpus di studi ad oggi piuttosto consistente. Gli interrogativi che mossero i primi ricercatori erano dettati dall’interesse di comprendere se e in che misura i bambini adottivi fossero più a rischio rispetto ai pari non adottati e quali problematiche mostrassero con maggiore frequenza. Successivamente emerse un interesse più specifico, ossia indagare quali possibilità di recupero l’adozione offrisse ai bambini con esperienze precoci negative e quali fattori sostenessero tale recupero: una serie di ricerche longitudinali permisero di iniziare a ‘mappare’ le traiettorie di sviluppo dei bambini a seguito dell’adozione (Palacios - Brodzinsky, 2010). Van IJzendoorn e Juffer (2006) hanno cercato di fare sintesi tra le numerose ricerche prodotte in questo ambito e di confrontarne i risultati, non sempre concordi. Ha preso così avvio un imponente lavoro di meta-analisi che ha considerato 270 studi condotti dal 1995 al 2005, su un totale di più di 230.000 bambini adottati e non adottati, e che rappresenta oggi davvero una pietra miliare nella ricerca sull’adozione. Il panorama che ne è emerso è assai variegato: vediamo alcuni dei risultati più significativi.
L’adozione internazionale è un fenomeno numericamente consistente e di indubbia rilevanza sociale non solo in Italia, ma in tutti i Paesi occidentali. Dal 2001 al 2013 sono 39.702 i minori che hanno fatto ingresso nel nostro Paese a scopo di adozione (www.commissioneadozioni.it), cui aggiungere un numero assai consistente nei decenni precedenti. Oggi molti di loro sono adolescenti e giovani adulti e costituiscono un gruppo con peculiarità proprie: sono italiani, inseriti nel nostro tessuto sociale a tutti gli effetti (scuola, lavoro ecc.), ma sono nati in Paesi lontani e in età più o meno precoce hanno dovuto lasciare il loro Paese, per essere inseriti in una nuova famiglia e in un nuovo Paese con un background etnico e culturale assai diverso. Il nostro contesto socio-culturale ha subito negli ultimi decenni delle profonde modificazioni per un flusso migratorio sempre più consistente e una presenza sempre più massiccia di persone immigrate nel tessuto sociale. Ciò può costituire da una parte un elemento di facilitazione per l’inserimento dei ragazzi adottati, dall’altra un elemento confusivo: non di rado essi raccontano di venire etichettati come ‘immigrati’ e di essere oggetto di discriminazione.
Since the 1970s the number of international adoptions in the Netherlands has rapidly increased. Before 1970, adoptions in the Netherlands almost always concerned domestic adoptions. Several factors caused the rapid increase in international adoptions. First, the adoption law in the Netherlands was changed in 1968, creating more possibilities for international adoption. Second, in the 1970s more openness about adoption arose and as a result adoption was no longer a taboo. Third, there was a decline in domestic adoptions in the same period, due to more possibilities for and openness about birth control and due to more social acceptance and financial possibilities for women to raise children on their own. As a result, less Dutch children were available for adoption. Fourth, parents did not only want to adopt a child because of unwanted childlessness, but also because of idealistic motives. Through television in the 1960s, the misery of children in Third World countries and countries in war were shown and persuaded many parents to adopted a child out of idealistic motives (Verhulst - Versluisden Bieman, 1989; Hoksbergen, 1998, 2002).
Although most adoptions in the past primarily involved domestically born and placed, healthy infants or young children, currently, more and more adopted children are older at the time of placement and have experienced one or more early life adversities prior to entering their adoptive homes. In the United States, for example, the majority of children being adopted today come from the domestic foster care system. These boys and girls often have experienced prenatal complications, neglect, abuse, multiple foster placements and other pre-adoption adversities. Many have identifiable special needs (Smith, 2010; Harwood - Feng - Yu, 2013). In contrast, in Western Europe, the majority of adopted children are placed from other countries rather than from domestic foster care, although rates of intercountry have fallen dramatically in the past decade throughout the world (Selman, 2012). Although originating from a different placement source, these children also commonly display special needs, usually reflecting early deprivation and trauma, especially the impact of institutional life (Harwood - Feng - Yu, 2013).
Crescere significa aprirsi a nuove appartenenze, e vivere nuove vite. Un precoce radicamento positivo è la base per la graduale e successiva ‘avventura amorosa con il mondo’, come con una splendida espressione ci ricorda Greenacre (1957). È interessante, a questo proposito, segnalare che l’etimologia di avventura rimanda al futuro, alle cose che devono ‘ad-venire’ e che per questo contengono l’inaspettato, il nuovo. Del resto, la radice etimologica di partire risale al latino partiri, cioè tagliare in varie parti, separare. Partire significa dunque allontanarsi da qualcosa o da qualcuno, mettersi in viaggio verso una meta; mentre tornare deriva dal latino tornare, nel senso di far girare, come al tornio, ma ritornare non è mai ritornare al medesimo, così come i tornanti non si avvitano su se stessi, ma ci portano più in alto (Cortellazzo - Zolli, 1999). Radicamento e capacità di separazione sono così strettamente intrecciati.
Sono ormai più di 30 anni che l’affido familiare (regolamentato per la prima volta dalla legge n. 184 del 4 maggio 1983) si propone al nostro contesto sociale come una forma di supporto ai minori e alle famiglie in difficoltà. In questi decenni in Italia molte cose sono cambiate dal punto di vista sociale, culturale ed economico e lo strumento dell’affido è stato necessariamente sottoposto a ripensamenti, modifiche, nuove aperture, in linea con tali cambiamenti. Le modifiche legislative (si pensi solo a quelle introdotte dalla legge n. 149 del 28 marzo 2001) sono la forma visibile (tangibile) di tale evoluzione, ma il movimento di pensiero e di svolta culturale che hanno accompagnato in questi anni la riflessione su tale istituto vanno ben oltre la mera integrazione di articoli di legge e di emendamenti giuridici. In questo senso le ricerche psicosociale e clinica che si sono sviluppate intorno a questa realtà familiare peculiare, hanno consentito di prendere coscienza dei punti di forza e dei nodi problematici legati all’esperienza reale delle famiglie e dei minori protagonisti dell’affido e sono state di grande utilità agli studiosi e ai professionisti implicati per orientare la progettazione e supportare gli ‘aggiustamenti’ che nel tempo si sono apportati alla proposta.