I contributi degli storici del pensiero politico, presentati al Convegno tenutosi nell’Università Cattolica di Milano tra il 16 e il 18 febbraio 2006 e qui raccolti, ricostruiscono, attraverso ricerche specifiche, il ruolo centrale delle città nella storia delle dottrine concernenti l’interazione sociale e politica nell’Italia risorgimentale e post-unitaria.
Questa centralità si identifica e si riassume nella definizione della città come laboratorio politico e luogo privilegiato per lo svolgersi delle idee sul ‘come stare insieme’ degli uomini.
Nel dicembre del 1822 il giovane Rosmini, sollecitato da una improvvisa ispirazione, decise di dedicarsi alla composizione di un trattato organico di politica, la prima delle sue numerose opere sistematiche.
Nel febbraio 1917 Antonio Gramsci, da qualche anno a Torino (ottobre 1911) per frequentare l’Università, redasse e compose interamente il «numero unico» dal titolo «La Città futura», pubblicato a cura della Federazione giovanile piemontese del Partito socialista. Presentando il foglio, scrisse che esso era «dedicato ai giovani». Dopo il preludio della vicenda biografico-ideale di Gramsci, l'autore richiama gli argomenti e i titoli delle due raffigurazioni storiche globali di Friedrich Engels e di Max Weber e riprende i concetti di riforme e liberalismo, questione sociale e operaia, socialismo, egualitarismo, mutualismo, costituzione e costituzionalismo. Analizza poi i vari tipi di socialismo, partendo dalla situazione italiana e parlando nello specifico di Torino.
La realtà con cui abbiamo a che fare è la città, più precisamente la ‘città moderna’, quella che tale divenne e tale si fece chiamare nei decenni tra Ottocento e Novecento. Ma si tratta di una realtà – o almeno di una porzione di realtà – davvero obiettiva e visibile? Esiste davvero, agli inizi del Novecento, una ‘città moderna’ come fenomeno identificato e identificabile?
Il tema all'interno del saggio si connette direttamente da un lato al convegno promosso a Milano nel 1998 per iniziativa di Ettore A. Albertoni, su ‘Libertà e Stato nel 1848-49. Idee politiche e costituzionali’; dall’altro, e soprattutto, alla cura, da parte dell'autore, del fondamentale saggio di Carlo Cattaneo ‘Notizie naturali e civili su la Lombardia’, del 1844, pubblicato insieme al non meno importante scritto cattaneano del 1858 ‘La città considerata come principio ideale delle istorie italiane’.
In questo capitolo Maria Luisa Cicalese espone quelli che sono gli ideali condivisi tra liberal-democratici appartenenti al Partito d’Azione e liberali in senso stretto partitico. In particolare si possono individuare riferimenti storiografici e punti teorici di grande spessore comuni a Vittorio Enzo Alfieri e Mario Boneschi partendo dalla condizione di Milano libera nell'Italia unita e affrontando temi quali l'influenza del magistero di Croce e la teoria della libertà.
È difficile stabilire in sede storiografica quale possa essere la relazione che intercorre tra una città e l’elaborazione politica se si prescinde dal mero dato della causalità geografica. Possiamo rilevare costanti di intenzione e di modello che agiscono prepotentemente nella politica. Esse sono la negazione di ogni concezione sistemica e si caratterizzano per l’insopprimibile base morale della politica, il rapporto stretto di quest’ultima con la cultura, il valore primario dell’uomo che si realizza nei valori della libertà e della responsabilità, nel fatto di sentirsi esso stesso, in primis, della storia.
La Firenze capitale (1865-1870), sin dai primi momenti dell’Unità, rappresenta il fulcro di un rinnovamento che caratterizzerà la cultura nazionale per una buona parte dei decenni successivi. Fioriscono in queste circostanze numerose riviste e correnti culturali: l’«Antologia» del Vieusseux e il ‘piagnonismo’ fiorentino; L'‘Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento’ e il positivismo; «La Civiltà Cattolica»; il socialismo negli anni Sessanta-Settanta dell’Ottocento; la «Nuova Antologia»; il ‘darwinismo’ e il dibattito sulla derivazione dell’uomo dalla scimmia; gli «Annali cattolici» e la «Rivista universale»: la «Rassegna Nazionale». Paolo Pastori tratta anche dell’influsso della torinese «Rivista di Filosofia scientifica» passando dal ‘darwinismo’ alla teoria delle razze; il secondo periodo della «Nuova Antologia»; la critica positivista di Garin all’idealismo ‘storicizzato’ da Croce ed hegelianamente assolutizzato da Gentile; e infine la ‘ventura delle riviste’.
Roma è la città natale dell'intellettuale Guido Calogero: la città nella quale si laurea, nel 1925, discutendo con Giovanni Gentile una tesi sulla logica aristotelica. Calogero svolge la prima critica all’idea crociana di libertà «che ha per sé l’eterno», nell’opera “La scuola dell’uomo” (1939), dove si teorizza la «giusta libertà», il nucleo filosofico del suo liberalsocialismo. La querelle che lo contrappone a Croce muove Calogero nel primo numero della rivista «Liberalsocialismo» e una compiuta riflessione storico-filosofica sul liberalsocialismo è offerta dall'intellettuale anche con un saggio sull’opera di Leonard Trevelyan Hobhouse. Le sue tendenze liberal-socialiste si diffonderanno poi anche in Europa e in America.
Discutere delle condizioni della vita civile in una città come Napoli significa prendere atto di una crisi e di un malessere che hanno profonde radici nei secoli. Da questo preliminare avviso deriva anche un singolare impegno nel metodo dell’analisi: l’antica sofferenza che si riflette nelle difficoltà dell’epoca contemporanea obbliga a un particolare tipo di indagine genealogica sui motivi dell’incompiuta modernizzazione e, insieme, all’ulteriore sforzo della riflessione sulle ragioni dell’aggravio del vissuto contemporaneo.
A Trieste la riflessione politica è stata condizionata da passioni e scontri ideologici quanto mai aspri che, affondando le loro radici in quelle delle due guerre mondiali, hanno trasceso il ruolo e la dimensione della città. Tuttavia, le loro conseguenze l’hanno tanto tragicamente segnata da impedire spesso una pacata riflessione sui temi politici «dal Risorgimento alla Repubblica», mancandovi quasi sempre la necessaria distanza emotiva. In questo capitolo si ricostruisce l'originalità della città prendendo in considerazione il tentativo di trovare una via d’uscita al dissidio che costituisce il filo conduttore di tutta la storia triestina: «l’antitesi tra il fattore economico e quello nazionale».
L’interesse di Gaetano Salvemini per Molfetta accompagna la sua attività di storico e di pensatore politico dal 1897 al 1954, in una linea di continuità che attraversa, per circa sessant’anni, l’intera storia d’Italia, dalla crisi di fine secolo all’età giolittiana, al periodo repubblicano. Complessivamente si tratta di cinque sostanziosi scritti, che appaiono su diverse riviste. Il discorso in questo capitolo si amplia al rapporto di Salvemini con la democrazia e a quello dei salveminiani con la politica e la cultura.
A cavallo tra due secoli, dall’ultimo decennio del XIX secolo sino ai primi anni Venti del Novecento, Cagliari da sonnacchioso borgo provinciale diventa una città moderna, il capoluogo non soltanto del territorio circostante, ma punto di riferimento per tutta la realtà economico-sociale dell’Isola. Tutto ciò grazie a Ottone Bacaredda amministratore della città. Quest'uomo politico che aderisce ai principi mazziniani grazie all’influenza paterna, è caratterizzato da una forte sensibilità al problema sociale. Il riformismo e le ragioni della sua politica, seguono la lezione di Bernstein. Baccaredda è, liberale, democratico, sensibile alle esigenze del lavoro e dei ceti più poveri, ma assolutamente contrario a ogni manifestazione violenta, soprattutto se rivolta a impedire quelle che ritiene le imprescindibili conquiste del progresso e della ‘modernità’.
La presenza di esuli italiani nella Confederazione durante il primo così come durante il secondo Risorgimento è stata quasi sempre legata a una determinata città. L’unica eccezione è forse quella di Giuseppe Mazzini, il quale proprio per la sua scelta di vita da ‘rivoluzionario’ fu costretto a condurre la propria esistenza di proscritto e ricercato passando di città in città; tuttavia resta legato ad alcune città in particolare, Ginevra (dove iniziò la prima fase del suo esilio in Svizzera), Grenchen, città nel Canton Soletta, il cui consiglio comunale nel 1836 volle conferirgli la cittadinanza svizzera, e poi Lugano. Dopo l’insuccesso del tentativo insurrezionale della Savoia, Mazzini pensò di legare in un vincolo di fede e di lotta tutto il mondo dell’emigrazione politica. Egli concepì quindi l’idea di dar vita alla Giovine Europa quale naturale corollario, sul piano europeo, della Giovine Italia. La Giovine Svizzera, in modo particolare, sarebbe stata chiamata a svolgere un ruolo fondamentale nella realizzazione dell’associazione a livello europeo. Tra gli altri esuli in Svizzera ci furono Ignazio Silone e Reale, fondamentali per il secondo Risorgimento; e Carlo Cattaneo che si rifugiò a Lugano.
Una colorita descrizione del primo incontro tra Giovanni Laterza e Benedetto Croce la ritroviamo in uno scritto di Luigi Russo del 1947. Russo narra anche gli incontri che il Laterza ebbe con Francesco Saverio Nitti e con Giovanni Bovio. Giovanni Laterza non è un caso isolato di imprenditore che, nella Bari tra Ottocento e Novecento, si inventa nuove funzioni produttive. Il figlio di un falegname di Putignano, che si fa editore, è solo un esempio; solo una delle tante figure di un processo più ampio che spinge «derrate agricole e uomini» dall’interno della provincia verso Bari. La casa editrice Laterza offrà da quel momento in poi una cultura alla borghesia che vuole essere moderna e nazionale.
Nato a Bologna nel 1818 da un’agiata famiglia di proprietari terrieri, arricchitisi con il commercio durante il periodo napoleonico, anche quando diventerà uno degli uomini politici italiani di maggior rilievo, nei decenni immediatamente seguenti l’Unità, Marco Minghetti manterrà intatti i legami con la sua città natale, risiedendovi costantemente fino alla morte nel 1886. Lo statista e pensatore politico, fin dall’apertura del suo ultimo importante scritto su “Il cittadino e lo Stato” (1885) porta alla ribalta quello che è un vero e proprio filo rosso del suo pensiero politico: l’idea che non si possa pensare in termini astratti alla polarità classica liberale cittadino / Stato, spesso immaginata secondo l’apriorismo di dottrine volte a ipostatizzare i due termini.
Tra i non molti uomini che, nella storia di Messina, occupano non una nicchia ma un posto di rilievo nazionale per essere stati protagonisti di vicende e avventure intellettuali e politiche più grandi della stretta cerchia delle mura urbane, Giuseppe La Farina, unitario mazziniano e unitario cavouriano, è forse il più dimenticato. Profondamente influenzato da Mazzini, La Farina pensava che sia le concessioni politiche di carattere costituzionale sia l’unificazione d’Italia si sarebbero potute ottenere soltanto attraverso la forza del popolo.
Nella storia della Bari murattiana, all’avvio del XIX secolo, non ricorrono spiccate tradizioni intellettuali, pur non mancando la giovane città-nuova di significativi operatori del diritto e di studiosi di scienze umane e naturali, o di interessanti scrittori e poeti locali. Una più dinamica fase di aggiornamento dello spirito della città si dischiude a cavallo fra Ottocento e Novecento quando il ruolo della mediazione sociale, con effetti di arricchimento dei legami civili e delle esperienze di governo, si incardina soprattutto sulle professioni liberali, e su quella forense in primo luogo. Fabrizio Canfora, rigoroso professore di Storia e Filosofia nei licei, rientra in questo variegato panorama della città, all’indomani della Seconda guerra mondiale, fatto di ceti intellettuali illuminati, decisamente minoritari, animati da un sincero senso della patria, dall’impegno civile tanto verso le giovani generazioni, quanto in nome della diffusione del senso del bene collettivo.
Una delle caratteristiche più evidenti sul terreno del dibattito politico-culturale, all’indomani dell’Unità d’Italia, è una certa osmosi, un intreccio, una convergenza tra il mazzinianesimo, specie nelle sue declinazioni meno intransigenti, il radicalismo democratico e le prime formulazioni socialiste. È proprio da questa sovrapposizione di fermenti ideologici, fortemente influenzati dalle idee positivistiche, che prende avvio un indiscutibile itinerario identitario del socialismo italiano. Il periodico napoletano «Libertà e Giustizia», è il primo vero giornale dichiaratamente socialista, pubblicato per venti numeri settimanali nella seconda metà del 1867. In questo capitolo si parla dei manifesti programmatici e del contesto ideologico nel quale è immerso il giornale napoletano. Viene poi proposta un'analisi critica sul problema ideologico che si pone sulla questione romana della separazione degli uffici tra Stato e Chiesa, per poi concentrarsi sul federalismo sociale e comunalista che caratterizza la rivista.
Di crisi dell’autocoscienza filosofica si parla in Europa dal tempo di Hegel e di Goethe. La dissoluzione dell’hegelismo si svolgerà lungo due direttrici diverse, tra Kierkegaard e Marx, per far capo simbolicamente alle due personalità che più di altre sembrano incarnare lo spirito di quella filosofia, con cui aveva fine il ciclo del pensiero e dell’età moderna. Per comprendere nei suoi termini effettivi il significato del carattere duplice, europeo e non europeo, della nostra cultura idealistica, occorre confrontare i peculiari motivi dell’idealismo italiano con quelli che ispirano le altre correnti di pensiero. L’incomprensione del positivismo, dell’irrazionalismo e del valore della scienza ha poi condotto il nuovo idealismo all’eguale incomprensione di tutti i motivi rivoluzionari di carattere politico, sociale e istituzionale. La crisi dell’‘attualismo’ però esce dalla parentesi italiana nella quale il nuovo idealismo pareva confinato, per investire ogni altra corrente di pensiero, al di là della coscienza esplicita che ciascuno possa averne. Di qui la questione del controverso rapporto tra l’eredità della Scolastica, che aveva il suo centro nell’Università Cattolica di Milano, e il pensiero italiano e la sua tradizione, più radicato a Roma.
Tanto il diritto pubblico quanto la scienza politica, ebbero in Italia una stessa città d’origine, Palermo, e una parabola intensamente insulare e al tempo stesso intensissimamente nazionale. Vittorio Emanuele Orlando e Gaetano Mosca ebbero entrambi Palermo come riferimento ideale dei loro studi, del loro patriottismo, della loro amicizia. Scienza giuridica e scienza politica alimentarono la loro Palermo di aperture intellettuali al mondo antico, al mondo tedesco, al mondo anglosassone, ma sempre incessantemente riannodando tali aperture a quello che fu per la loro generazione il problema dei problemi: come distinguere e come legare fra loro risorgimento siciliano e risorgimento nazionale.
Carlo Cattaneo era ampiamente considerato dai suoi contemporanei come un intellettuale politico assai dotato e come un’influente figura della corrente del pensiero repubblicano, federalista, democratico del Risorgimento italiano. È un grande merito di Cattaneo aver raramente perso di vista la necessità di capire come gli individui provino a dar senso al loro mondo e alle opportunità disponibili per promuovere il progresso umano. In questo capitolo si confronta l'idea di autogoverno di Tocqueville con quella di Carlo Cattaneo, il suo significato paradigmatico e la sua fede nelle capacità di tale autogoverno. Nella narrativa di Cattaneo, entra in gioco anche il concetto di incivilimento, che porta con sé un doppio significato: il processo civilizzante come il progresso dell’umanità e il progresso civilizzante come progresso dell’Europa. Le sue intuizioni possono essere viste dunque come ingredienti essenziali in una teoria generale della politica che cerchi di armonizzare e alimentare l’eguaglianza , la libertà, e l’eterogeneità.
Robertino Ghiringhelli è ordinario di Storia delle dottrine politiche, direttore dell’Istituto di Storia moderna e contemporanea dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e degli «Annali di Storia Moderna e Contemporanea». Dopo avere insegnato nelle Università di Trento, Milano e Salerno, dal 1994 è titolare della cattedra di Storia delle dottrine politiche nella facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano. Fra le sue opere più recenti si segnalano Modernità e democrazia nell’altro Risorgimento. Studi romagnosiani (Milano 2002) e la curatela di Il cattolicesimo lombardo tra Rivoluzione Francese, Impero e Unità (Pescara 2006).