Questo volume attraversa e congiunge culture, discipline e sensibilità differenti, distinguendosi nettamente per originalità di contenuti e impostazione da altre opere dedicate al rapporto tra ‘diritto e letteratura’ (Law and Literature). Il lettore è condotto per mano da eminenti scrittori, critici letterari e giuristi, lungo un affascinante itinerario che, andando al cuore di importanti opere narrative italiane e straniere, aiuta a riflettere su essenziali problemi del diritto, del crimine, della responsabilità. L’apertura al dialogo, il piacere del pensiero alto e il ‘senso di giustizia’ del cittadino consapevole non meno di chi eserciti una professione giuridica vengono stimolati dalla lettura e dalle interpretazioni di capolavori letterari, musicali e cinematografici. In questo libro, la letteratura e le altre ‘arti narrative’ confermano la loro vocazione a dischiudere orizzonti di senso nei quali chiunque può intravedere spiragli di risposta a secolari domande dell’umanità. La cultura delle regole, il rapporto tra legge formale e giustizia sostanziale e tra diritto e moralità, la questione della responsabilità, della colpa e del perdono, il tema della narrazione come resistenza all’ingiustizia e forma essa stessa di giustizia trovano illuminazione grazie alla ricerca di una giustizia che, superando formalismi giuridici e istintualità vendicative, sappia aprirsi a percorsi di riconciliazione.
Primo di una serie, il libro trae origine dai cicli seminariali di Giustizia e letteratura organizzati dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
L’amministrazione della giustizia rappresentata nelle opere di ShakespeareIl mercante di Venezia e Otello presenta vari tratti in comune, in particolare la presenza di un processo (centrale, nel Mercante, nascosto nell’Otello) in cui un "outsider" deve affrontare il giudizio reso da una giuria che non è affatto composta da suoi "pari".
Il contributo, partendo dall'analisi del tema del pregiudizio razziale all'interno di alcune opere di Shakespeare, esamina il problema fornendone una rilettura in chiave moderna, alla luce di alcune controverse vicende processuali recenti. Il saggio sviluppa altresì alcuni spunti di riflessione - suscitati dalla rappresentazione di due processi, all'interno della trama del Mercante di Venezia e dell'Otello - in tema di funzione della pena e regole di giudizio all'interno del processo penale, sottolineando la straordinaria modernità delle teorizzazioni sottese ai due drammi shakespeariani.
Il contributo prende in esame, attraverso l'analisi di alcuni capolavori della produzione letteraria di Daniel Defoe, alcuni aspetti di rilevanza giuridica che emergono all'interno di tali opere. In particolare, è analizzata la figura dello stato di necessità, quale situazione in grado di escludere l'attribuzione di responsabilità penale in capo al soggetto agente. Successivamente, l'analisi affronta un profilo classico dell'analisi criminologica della genesi del crimine, ossia quello delle "tecniche di neutralizzazione" attraverso cui il reo rende psicologicamente e moralmente accettabile, innanzi tutto per sé stesso, il comportamento deviante. Infine, il saggio prende in esame un profilo delicato dell'accertamento processuale della responsabilità penale, relativo alla credibilità della prova testimoniale, segnalando come sia possibile rintracciare, all'interno della contrapposizione tra dimensione "factual" e dimensione "fictional" che frequentemente si riscontra nei romanzi di Defoe, una preziosa chiave di lettura per affrontare tale problema anche all'interno del processo penale.
Il tema della legge e delle giustizia viene affrontato in Dostoevskij superando la contrapposizione classica dicotomica legge vs violazione della legge: esemplificazione dagli scritti.
In questo studio non intendiamo proporre una storia letteraria del "caso Dreyfus", che si potrebbe facilmente disegnare in un ideale repertorio dei "buoni" e dei "cattivi". Ci occuperemo invece della rilevanza del dato stilistico, come essa emerge dall’opera e dalle dichiarazioni teoriche di due autori – Marcel Proust e Ferdinand Céline – che si situano, ideologicamente e stilisticamente, ai poli opposti di un confine che l’"Affaire" contribuì a scavare all’interno della stessa lingua francese, e del concetto di Nazione che da essa deriva.
La ricostruzione dell'intricata vicenda giudiziaria che fa da sfondo allo storico "Affaire Dreyfus", fornisce lo spunto per una diagnosi sullo stato in cui versa la giustizia penale militare in Italia. Le suggestioni di Julien Benda, provocate dal processo penale a Dreyfus, guidano l'autore nell'analisi delle debolezze strutturali della giustizia penale militare e dei suoi aspetti più anacronistici, che ne consigliano quanto prima una riforma in sintonia con le attese della Costituzione e del mutato quadro di politica internazionale.
Il saggio indaga il rapporto tra dissoluzione dell'Io e responsabilità morale nell'opera drammatica di Hugo von Hofmannsthal (1874-1929) con particolare attenzione ai drammi giovanili del periodo impressionista e alle commedie della maturità, nelle quali emerge un Io anch'esso "relativo", ma in senso nuovo rispetto all'opera giovanile, etimologico: un Io che si costituisce nella relazione, attento all'altro e lontano dal titanismo della coeva cultura tedesca.
L’analisi dell’opera di Robert MusilI turbamenti del giovane Törless offre al giurista molteplici spunti di riflessione: la consapevolezza dei limiti delle categorie formali della legge nel cogliere la ricchezza e complessità della vita individuale e sociale, ma anche il bisogno di restare ancorati alla razionalità senza soccombere alle trappole dell’irrazionalismo; l’importanza per ogni forma di regolamentazione di una base di conoscenza relativa alle motivazioni e ai sentimenti umani, se questa aspira a un rispetto e una vigenza effettivi.
Parte seconda. Percorsi di giustizia nella letteratura contemporanea
Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore sono due opere fondamentali per il giurista penale che desideri riflettere sulla natura del crimine. Quel che rileva di tali opere non è certo l'essere entrambe "romanzi polizieschi". La scelta del genere "giallo" da parte di Carlo Emilio Gadda è dettata dall'osservazione della realtà umana e del mondo "barocco": un'apparente irrazionalità che deve essere investigata e compresa. Anche il crimine, il matricidio, non è frutto di una sola causa, ma di una pluralità di cause, una visione che richiama al criminologo la teoria della causalità circolare come presupposto dell'eziologia del crimine. Ma la ragione umana sembra perdersi nello "gnommero", gomitolo, delle cause. L'impossibilità di spiegare del tutto il crimine aiuta, però, il giurista a sottrarsi a una tendenza positivistica, che conduce a pensare che ogni fenomeno umano sia perfettamente ascrivibile a rigide categorie, permettendo dunque una visione più profonda e più corrispondente al vero di ogni azione dell'uomo.
Il contributo, prendendo spunto dall'opera di Francisco Goldmann, L'assassinio del Vescovo, analizza le possibili risposte dello Stato rispetto ai crimini contro l'umanità, come quelli perpetrati in Guatemala e narrati nel libro di Goldmann. In questa prospettiva, il lavoro finisce per riaffermare il ruolo fondamentale del processo penale nella ricerca di una verità "stabile" e condivisa anche a dispetto del mutamento dei regimi politici.
Partendo dalla lettura del romanzo La delazione di Roberto Cazzola, ambientato durante l’occupazione tedesca di Torino nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il saggio analizza i presupposti delle decisioni morali (quali l’empatia, la compassione, l’immaginazione narrativa, il riconoscimento dell’altro) e quei meccanismi "sistemici" e "situazionali" (nel linguaggio dello psicologo Philip Zimbardo) che possono inibirne o distorcerne l’attivazione. In relazione all’articolato gruppo di fenomeni che, nel linguaggio criminologico, vanno sotto il nome di "crimine organizzativo" (organizational crime), il saggio ricostruisce i principali fattori che, all’interno dei più vari tipi di organizzazione, contribuiscono alla costruzione di un’insensibilità morale degli attori individuali, portando quindi alla commissione di crimini di rilevante gravità le cui cause più profonde non sono da ricercare in peculiarità (o patologie) individuali, quanto piuttosto in fattori organizzativi e sociali. Meccanismi analoghi si rivelano quindi all’opera anche in molti casi di crimini "d’impresa" (corporate crime). È dunque proprio a tali fattori "strutturali" che dovrebbe essere rivolta una maggiore attenzione, sia da parte della magistratura, sia, in particolare, dal legislatore, in un’ottica di prevenzione. Il testo si chiude con alcune brevi considerazioni sul valore della memoria come forma di riparazione del danno prodotto dal crimine e come fondamentale strumento di prevenzione di episodi analoghi.
Il lavoro analizza le possibili ricadute per il diritto penale di quella corrente di pensiero, di stampo filosofico, sociologico e psicologico, denominata interazionismo simbolico. Viene analizzata in particolare la possibilità di sperimentare un approccio non positivistico a categorie penalistiche quali quelle del dolo e dell'imputabilità, molto "sensibili" alle diverse visioni dell'uomo che investono i diversi ambiti del sapere.
Qual è la natura della colpa? A chi attribuire la responsabilità finale della colpa dopo aver accertato la responsabilità specifica di una colpa? Quale espiazione? Come ripristinare l'armonia, l'equilibrio, la stabilità, insomma la giustizia infranta dalla colpa? La scena ha sempre dibattuto queste questioni. Il rito culturale ha funzionato come rito processuale. In particolare è la scena del tragico che ha accolto questa istanza esistenziale e culturale. Il saggio analizza alcuni esempi nell'ambito del teatro contemporaneo, sia del "teatro di narrazione" sia del teatro documento e del dramma d'autore.
A partire da alcune testimonianze di vittime di reato, il saggio sviluppa una riflessione che mette in luce aspetti peculiari di simili “narrazioni”, per trarne spunti pertinenti al diritto penale. Lo scritto è corredato da un’appendice in cui l’Autrice ha raccolto una (minima) selezione di “racconti” assai significativi di persone offese da reati di diversa gravità e matrice. Nella onnipresente diversità delle storie individuali e nella frequente somiglianza dei sentimenti e dei valori offesi, le parole delle vittime – nota l’Autrice – hanno un tratto comune sorprendente: sono un coraggioso "parlar franco", tipico della parresia (come presentata, da ultimo, da Michel Foucault), che si offre come fonte di conoscenza al modo degli esempi, cioè con la forza di una congruenza persuasiva che attiva l’immaginazione facendo a meno di princìpi a priori (secondo l’impostazione filosofica di Alessandro Ferrara). Di più: questo "esemplare parlar franco" prende spesso forme che non si fatica a definire poetiche. L’impressione, indagata nello scritto, è che certa "realtà vissuta" (il "come stanno le cose" intorno a dolenti esperienze attraversate in prima persona, perché provocate o subite) non possa che essere dicibile – e dunque narrabile – in forma poetica. E invero, sul piano teorico, un filo stretto collega filosoficamente parresia ad autenticità, autenticità a esemplarità, e parresia ed esemplarità a estetica. Trasposti nella teoria costituzionale del reato e del diritto penale, i concetti di parresia ed esemplarità illuminano un’idea nuova, non utopica, di giustizia di cui è possibile perfino immaginare qualche declinazione pratica nel medio periodo. Lo scritto si sofferma sugli “insegnamenti” che il sistema penale può trarre dal discernimento che nasce dall’esposizione all’esemplarità parresiastica e poetica di certe esperienze di vittimizzazione. Si aprono percorsi conoscitivi sostanzialmente lungo quattro direttrici: la formazione del giurista, il contributo all’arricchimento dei princìpi di offensività e di determinatezza, il contributo all’arricchimento del linguaggio giuridico, le prospettive politico-criminali che dischiudono la ricerca di un modello di giustizia in cui reo, vittima e collettività possono diventare reciprocamente "coppie parresiastiche", capaci di dar vita a "giochi di verità" in cui ciascuno costituisce sé e gli altri come "dicitore della verità su se stesso", rendendo possibile un’autenticità foriera di una pur sofferta e difficile riconciliazione.
Il cinema classico mette in luce una idea testimoniale dei media legata alla origine fotografica dell'immagine cinematografica. I media contemporanei al contrario non possono contare su un sapere sociale consolidato circa la natura fotografica e dell'immagine e la conseguente fiduciarietà, e spostano il ruolo testimoniale sullo spettatore. L'argomentazione viene condotta mediante un'analisi incrociata di Fury (F. Lang, 1936) e Redacted (B. de Palma, 2007).
Il contributo indaga il tema del ruolo attuale dell'informazione come strumento di conoscenza e di pubblicizzazione delle questioni inerenti il crimine. Il diritto di cronaca, in particolare, ha progressivamente assunto carattere pervasivo soprattutto in ambito giudiziario, dedicando speciale attenzione ai reati e alle relative vicende processuali. Tale tendenza, se da un lato adempie alla fondamentale funzione di "in-formazione" del pubblico, dall'altro lato rischia di compromettere diritti primari della persona costituzionalmente garantiti, tra i quali la presunzione di non colpevolezza. L'analisi si concentra sul ruolo dei media nell'informazione e nella rappresentazione del reato, evidenziando le spiccate potenzialità distorsive che un uso non corretto degli strumenti di informazione può provocare: l'attivazione di meccanismi di esclusione, attraverso processi di identificazione negativa; di meccanismi di emulazione da parte dei soggetti più deboli ed esposti; di meccanismi di identificazione positiva con la vittima, che favoriscono la diffusione di un senso di paura (moral panic). Sono indagate, quindi, le ricadute sul sistema penale della realtà oggetto di "rappresentazione", con riferimento tanto alla prospettiva del legislatore in ambito penale, quanto ai momenti del processo penale e dell'esecuzione della pena. Si evidenzia che i media potrebbero costituire un prezioso alleato del sistema penale delle garanzie, qualora fossero in grado di formare ed educare la coscienza collettiva alla "verità" del crimine, senza enfatizzazioni né "normalizzazioni" del fenomeno criminale.
Il contributo, nell'ambito delle riflessioni sviluppate nel corso del Convegno su "Narrazioni della giustizia; giustizia della narrazione", si concentra sul tormentato rapporto tra informazione e potere, segnalando come la funzione di controllo democratico, tradizionalmente attribuita ai mass-media, sia sempre più sostituita da una compartecipazione attiva alla conquista, al mantenimento e alla gestione del potere (politico, economico, sociale, ecc.). Il saggio si sofferma altresì sul ruolo dei "nuovi media" e analizza il caso più emblematico della c.d. "costruzione dal basso" dell'informazione, attraverso la descrizione della vicenda del sito WikiLeaks. La valutazione finale, tuttavia, è molto scettica sull'effettiva affidabilità e trasparenza di tali modalità di costruzione dell'opinione pubblica, in quanto sono caratterizzate non dalla assenza di interessi e dal venir meno dei filtri di selezione delle notizie da comunicare (frequentemente individuati come i vizi più gravi dell'informazione tradizionale), bensì dall'occultamento di tali delicatissimi elementi.
Intervista a Patrizia Catellani e Valentina Carfora, autrici di "Psicologia sociale dell'alimentazione", per capire meglio le nostre scelte alimentari.