Le carte e gli uomini
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DALLA PRESENTAZIONE
Questo volume raccoglie saggi di studiosi in vario modo legati, sia sul piano scientifico sia personale, a Nicola Raponi. Sono qui infatti editi contributi preparati in occasione di una giornata di studio che l’interessato non ha voluto fosse organizzata ‘in onore di’, ma semplicemente per i suoi settant’anni, peraltro portati in modo invidiabilmente giovanile. L’opera scientifica di Nicola Raponi è stata intensa, profonda, continuata, come attestano i molti titoli riportati nella Bibliografia. Oltre che nella sua università e negli altri atenei milanesi, egli è noto e stimato nella comunità scientifica italiana, soprattutto tra gli studiosi di storia moderna e contemporanea, in Francia e altrove. È anche molto apprezzato da persone e istituzioni che si sono avvalse della sua opera, come le congregazioni religiose della cui storia si è largamente occupato e le università e gli enti locali delle Marche, con cui egli ha sempre mantenuto stretti legami, sia per motivi affettivi, sia perché una delle sue prime sedi universitarie è stata proprio l’allora nascente Facoltà di Lettere maceratese. Tuttavia credo che abbia fatto bene chi, qualche tempo fa, ha preso l’iniziativa di questa giornata di studio. La ricchezza e la varietà dei saggi qui pubblicati sono, infatti, indicative della molteplicità e della qualità degli interessi che egli ha saputo sviluppare personalmente o suscitare intorno a sé: è solo uno degli aspetti della sua personalità accademica e scientifica che meriterebbero di essere meglio conosciuti. Come evidenzia il suo percorso biografico e scientifico, Raponi conosce bene il mondo delle carte, cui allude il titolo di questo volume. Ha operato, infatti, a lungo nel campo degli archivi, divenendo esperto delle loro regole e dei loro problemi, assumendosi la responsabilità che la conservazione dei documenti comporta e divenendo custode del rigore che la loro interpretazione esige. Ma, come recita una famosa frase di Henri Pirenne, lo storico non è un archeologo, egli ama la vita. Ogni archivio è un mondo, riflette l’esistenza e lo spirito di uomini e donne, come Fogazzaro, Bonomelli, van Ortroy, Tommaso Gallarati Scotti, nel cui universo Raponi è entrato con grande finezza. E anche ogni documento ci mette in comunicazione con uno squarcio di vita: persino in commemorazioni ufficiali o in austere recensioni, egli è in grado di cogliere la forza contenuta delle passioni o la punta acuminata dell’ironia. Raponi penetra in profondità nei personaggi che avvicina. Non ama, però, le biografie: non ha mai scritto, per esempio, una biografia di Agostino Gemelli, benché sia lo studioso che meglio ha compreso la figura del fondatore dell’Università Cattolica. Su di lui ha scritto pagine illuminanti, come nel caso della voce curata per il Dizionario biografico degli italiani, e, in molte occasioni, è tornato a parlare in modo convincente della figura e dell’opera di quello che – come Mario Enrico Viora amava ricordare a Francesco Vito – alungo è rimasto per molti l’unico vero Magnifico Rettore della Cattolica. In particolare, Raponi ha colto in profondità il rapporto tra Gemelli e la sua creatura, che è diventata nel tempo la stessa ragione di vita del suo fondatore. Ma egli non ne ha mai scritto una biografia, malgrado le affettuose insistenze di chi gli stava vicino. Credo che il motivo di questa scelta risieda soprattutto nella perplessità suscitata in lui da un genere letterario che pretende giudizi completi e perentori. Non si tratta di timidezza davanti a un impegno troppo esigente. Piuttosto, mi pare che Raponi cerchi di resistere a ‘gabbie’ e schemi che impongono forzature e semplificazioni: la vita di cui, come ogni storico, è alla ricerca, non si esprime attraverso una coerenza esteriore di pensieri e di comportamenti, ma piuttosto in momenti e scelte, anche separati gli uni dagli altri, in cui l’animo umano forza i suoi limiti abituali, comunicandosi agli altri in modo inatteso. Il rapporto con l’oggetto dei suoi studi appare in Raponi caratterizzato, per usare parole sue, da «un’interiore partecipazione d’animo». Nei suoi scritti, non si trovano tesi imposte forzatamente o inutili esercizi accademici, non compaiono né pregiudiziali ideologiche né forme di erudizione fine a se stessa. Mi pare invece che risponda al vero parlare di partecipazione spirituale per indicare l’interesse e il rispetto, l’attenzione e la discrezione con cui egli avvicina persone, situazioni, vicende. Attenzione all’interiorità della storia non significa però astratto spiritualismo: egli ha saputo spesso descrivere con efficacia la trasformazione, nelle figure da lui studiate, delle energie morali in un senso di responsabilità civile, prima ancora che in forme di impegno sociale o politico. Si avverte qui la consonanza con Ettore Passerin d’Entrèves, nel quale Raponi riconosce un suo maestro, cui ha dedicato molti saggi e dei cui scritti su La formazione dello stato unitario ha curato la pubblicazione. Non si tratta solo di un’evidente comunanza di interessi per lo studio del cattolicesimo liberale. Affinità più profonde emergono nel modo di accostarsi a questo argomento, affrontato non come ideal-typus ma come insieme di atteggiamenti mentali e di orientamenti pratici. Anche molti altri si sono riconosciuti nell’eredità di Ettore Passerin d’Entrèves, ma forse nessuno come Raponi ne ha saputo riprendere e sviluppare il tema delle radici interiori della libertà, che non si esprimono necessariamente o esclusivamente in formulazioni ideologiche o in posizioni politiche. Si constatano nei suoi scritti i molteplici effetti (involontariamente) liberatori della critica crociana al cattolicesimo-liberale come definizione filosofica o categoria politica. Proprio perché la libertà ha radici interiori, si tratta di un’ansia che può esprimersi ovunque e in forme inaspettate, anche al di fuori delle idee e dagli uomini che si autodefiniscono ‘liberali’. Indubbiamente Raponi non ama dedicare la sua attenzione ai primi attori o a ribalte inondate di luci accecanti. Ma non si può dire che i suoi interessi riguardino la storia minore. Dai cambiamenti culturali e religiosi d’inizio Novecento ai riflessi italiani della Rivoluzione francese, la sua vasta produzione scientifica ha incrociato i grandi eventi della storia europea. Per esempio, è grazie all’amicizia con l’insigne storico della cultura e dell’arte Edouard Pommier che egli si è dedicato negli anni più recenti ai problemi del patrimonio storico artistico ‘originario’ disperso nell’età rivoluzionaria. Egli, però, non ama guardare a tali eventi attraverso le espressioni più clamorose o i momenti più tumultuosi: preferisce frequentare luoghi più tranquilli e passaggi meno concitati. Non è un modo per restare alla periferia degli eventi, ma piuttosto una strada per scendere in profondità. Studioso del Risorgimento italiano tra i più apprezzati, sin dagli inizi ha dedicato la sua attenzione alle vicende degli Stati preunitari e ai problemi della formazione dello Stato nazionale: è anche questo un modo per risalire alle origini, capire le premesse, ricostruire il contesto di ciò che è ormai noto ed evidente. Quest’attitudine, spirituale prima ancora che scientifica, ispira Raponi anche nel suo approccio alla storia delle istituzioni. Su questo terreno, egli non appare incline a indagare i meccanismi anonimi dell’ingegneria costituzionale, ma è piuttosto interessato al ruolo svolto da persone, forze politiche, correnti di opinione pubblica. Un esempio significativo in questo senso è rappresentato dalla sua capacità di leggere i dibattiti parlamentari, muovendosi con competenza e familiarità all’interno delle forme imposte dalla logica istituzionale, sempre però attento a cogliere ciò che è prima, più al fondo e oltre. Diverso, ma analogo, è il suo approccio alla storia della Chiesa e del cattolicesimo moderno e contemporaneo. Grande spazio egli ha dedicato, non a caso, alla storia della spiritualità, con riferimento alle Congregazioni religiose o al rapporto con la cultura. A lui si devono significative indagini e ricerche sul terreno dell’ecumenismo, anche questo non lontano dagli intrecci tra spiritualità e cultura. Com’è noto, Raponi ha dedicato molta attenzione a un’istituzione particolare, quell’Università Cattolica del Sacro Cuore in cui ha studiato e insegnato per tanti anni. Ne ha vissuto dall’interno molte vicende, con vari protagonisti ha intrattenuto rapporti personali. Con «partecipazione interiore», ma anche con esplorazioni archivistiche e curiosità da studioso, Raponi non ha mai smesso di interrogarsi sulla storia e sulla natura di questa realtà così peculiare nel mondo culturale e nel cattolicesimo italiano. Ne ha indagato le origini, più complesse di quel che si pensa, facendo emergere spinte diverse, provenienti sia dal campo dell’intransigentismo cattolico sia da quello del conciliatorismo. Ha fatto uscire dall’ombra le varie correnti spirituali che l’hanno animata e dedicato attenzione alla complessa opera formativa che ha accompagnato il più specifico compito di trasmissione del sapere. In questo modo, ha messo a fuoco l’autonoma fisionomia assunta nel tempo da tale istituzione, al di là dei progetti e dell’azione, pur molto rilevanti, del suo fondatore. Ha indagato le varie scuole scientifiche e accademiche che si sono formate al suo interno e il ruolo assunto dall’Università Cattolica nella società italiana, sottolineando con originalità che tale ruolo non è stato anzitutto politico, come spesso si è detto, ma principalmente culturale e formativo. Per Raponi, l’Università Cattolica non è riducibile a una persona – per quanto importante, come padre Gemelli –, o a un obiettivo – per quanto rilevante, come la formazione di una nuova classe dirigente. Critici e apologeti hanno spesso parlato di questo Ateneo in modo schematico, cercando di imprigionare in una formula o di appiattire in un giudizio univoco una realtà vasta e complessa. Egli, invece, fa opera di storia, descrivendo e non definendo, facendo emergere progetti e individuando continuità, senza però dimenticare che si tratta di vicende a più voci, con molteplici protagonisti, segnate anche da inevitabili discontinuità. Per Raponi l’Università Cattolica è anzitutto uno spazio umano e culturale, un ambito dove – come voleva Padre Gemelli, ma andando al di là del suo fondatore – professori e studenti hanno lavorato insieme, a stretto contatto, formando una comunità scientifica ed educativa di ricerca e formazione. Attraverso i suoi studi, egli ne ha messo a fuoco un’identità spesso ignorata o dimenticata da chi lavora al suo interno, ma che pure costituisce l’anima profonda di questa istituzione, ispirando comportamenti e scelte al di là della consapevolezza dei singoli, suggerendo regole e orientamenti che costituiscono un patrimonio prezioso, non sempre adeguatamente rispettato e valorizzato. Su questo terreno emerge con chiarezza il senso impresso da Nicola Raponi al suo lavoro storico, non come astratto atto di culto al passato ma come strumento per il presente, per coniugare fedeltà alla tradizione e adattamento al nuovo, in uno spirito di servizio discreto ma efficace. C’è infine un aspetto che la lettura di questo volume suggerisce implicitamente, ma che merita di essere sottolineato: il rapporto tra Raponi e quanti hanno tratto giovamento dal suo insegnamento. Mi sembrerebbe inadeguato usare l’espressione di ‘scuola’ e forse anche quella di ‘discepoli’ (termini che, come anch’egli ha ricordato citando Ettore Passerin d’Entrèves, hanno sempre qualcosa di retorico), per indicare quanti si sentano legati a lui da un vincolo scientifico e umano al tempo stesso, benché gli Autori di questo volume si riconoscerebbero volentieri in tali definizioni. Raponi, infatti, non ha mai imposto una qualche forma di autoritarismo accademico, né ha preteso omogeneità di studi o, peggio, fedeltà ideologica. In lui hanno sempre prevalso un interesse genuino per molti temi di ricerca, anche se lontani da quelli che egli ha praticato, e un rispetto partecipe per i percorsi altrui di maturazione culturale e storiografica. Nel rapporto con studiosi più giovani, egli rappresenta l’esempio di qualcosa che anche in passato era piuttosto raro e che oggi sta addirittura scomparendo all’interno di un’università italiana in marcia verso una crescente divaricazione tra didattica e ricerca, mentre al suo interno la qualità dell’insegnamento sta diventando sempre più bassa. Forse si tratta di una necessità imposta dai tempi, ma la scomparsa di luoghi di formazione alla ricerca rappresenta una grave perdita che penalizzerà non poco le future generazioni: la scelta di imitare modelli stranieri in questo modo non si sta rivelando felice. In campo storico, la formazione allo studio e alla ricerca non avviene in appositi laboratori ma in ambiti che si formano spontaneamente intorno a qualcuno dotato non solo di cultura e di esperienza, ma anche di gusto di incontrare l’altro. È accaduto nel caso di Nicola Raponi: la presenza di tanti studiosi bravi e sensibili, a lui legati, è in questo senso eloquente. Ho esitato a lungo prima di scrivere queste righe, che mi sono state richieste e sollecitate con affettuosa insistenza. Non sono, infatti, un discepolo di Nicola Raponi in senso accademico e credo che altri avrebbero forse potuto meglio di me parlare dei suoi temi di ricerca e del suo insegnamento. Ho voluto tuttavia offrire queste note, che scaturiscono da una ormai decennale frequentazione e collaborazione, lieto di poter testimoniare in questo modo la mia amicizia nei suoi confronti. Agostino Giovagnoli |
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